La giacca nuova di Tsipras

Alexis Tsipras è scomparso dal contatto radio, si è immerso sotto il pelo della chiacchiera e da dieci giorni si sta occupando seriamente del suo popolo.

Ha incassato i 7,16 miliardi di prestito ponte, ha fatto riaprire le banche, ha caricato i bancomat, ha stilato la lista dei nuovi ministri per sostituire la brigata kalimera in uscita, ha detto ad albergatori e ristoratori delle isole che lo scontrino non è una malattia, ha messo al lavoro una commissione per la riforma delle (baby) pensioni e ha deciso di smetterla di demonizzare l’Europa dei creditori, peraltro l’unica cassaforte in grado di dare ossigeno al Paese e mantenerlo fuori dai morsi della povertà. In più ha mandato la polizia a sgombrare piazza Syntagma dai black bloc (uno dei quali ovviamente italiano per non farci mancare niente) e ha telefonato all’ex amico Varoufakis per spiegargli persino con generosità che «non basta essere un eccellente economista per diventare un buon politico».

La lezione greca ai populismi è tutta nella trasformazione di un attivista dell’estrema sinistra in uomo di governo. E non nel momento dell’elezione, ma nel momento dell’emergenza. Dopo una campagna elettorale di promesse da centro sociale e dopo cinque mesi di inutili bluff ai tavoli europei, nella notte insonne dell’accordo Tsipras ha capito che non si poteva più scherzare. E che il ritorno alla piccola, svalutatissima dracma sarebbe stato l’ultimo atto della tragedia greca. Non volendo passare alla storia per il politico che affossa una nazione, ha cambiato giacca e pian piano sta cambiando pelle. Chi lo applaudiva da bordo palco il giorno del referendum ha abbastanza elementi per trarre qualche conclusione.

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