La musica di Iglesias

Una volta c’era «We can», adesso c’è «Podemos». Più o meno lo stesso messaggio al cuore del cittadino. Poter cambiare le cose è da sempre il primo elemento di spinta verso l’utopia dell’uguaglianza sociale e l’ultimo elemento tenuto in conto da chi - grazie a questa spinta - è arrivato al potere.

Non è riuscito a cambiare le cose Barack Obama da presidente degli Stati Uniti (anzi in politica estera, vedi Isis, il suo impatto travicello è stato un disastro), quindi risulta difficile pensare che ci riesca Pablo Iglesias, terzo nelle elezioni spagnole col suo movimento antieuropeista che ha puntato tutta la campagna elettorale sul no al rigore e sul ritorno al sogno. Ha vinto a Barcellona (e non è poco) anche grazie al sostegno degli alleati più coloriti, come la lista che difende i debitori insolventi.

Il ritorno al sogno piace molto, ma sembra un tema letterario, cinematografico più che politico. La politica necessita di struttura, di classe dirigente, soprattutto di un’idea. Podemos, ma cosa Volemos? Il movimento somiglia molto alla Linke tedesca nell’era Schroeder, che faceva il pieno di consensi mentre il cancelliere varava le riforme per la Germania moderna. Nelle parole e nella musica di Iglesias c’è qualcosa di Grillo, di Farage, della Le Pen, di Salvini (ma non della Lega di Bossi che seppe radicarsi sul territorio grazie ad amministratori locali di valore).

Il Codino è lo Tsipras del 2015, ma neppure l’originale riesce ad aiutare la Grecia a uscire dalla palude senza lacrime e sangue. Perché oggi i sogni costano e non basta dire no per cambiare i destini della società. Podemos è un termine delizioso, speriamo che la sua colonna sonora non sia Vamos a la playa.

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