La tasse del commissario

Lo spot più efficace per gli euroscettici non è Grillo che strepita a Bruxelles. Ma è il volto del presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker che prova a difendersi dalle accuse di avere creato nel cuore del continente il paradiso fiscale più efficiente e blindato del pianeta, il suo Lussemburgo.

Suo, perché Juncker ha guidato il granducato dal 1995 al 2013 e tutti gli accordi dello scandalo «LuxLeaks» sono stati come minimo avallati dal suo governo. Durante quel periodo, il Lussemburgo ha attratto 340 società (31 italiane) proponendo che trasferissero i loro ingenti capitali - si parla di centinaia di miliardi di dollari - nei suoi forzieri in cambio di una tassazione molto amichevole, oltre i limiti dell’elusione.

Tutto regolare, dicono gli esperti. Nel senso che per architettare questa furbata sono state approvate delle regole, ovviamente molto discutibili. Solo nel 2013, secondo dati Ocse, il Lussemburgo ha ricevuto investimenti esteri per 2.280 miliardi di dollari, ma solo 122 erano destinati all’economia reale di un paese grande come la provincia di Bergamo, ma con la metà degli abitanti. Per il resto si trattava di denaro sottratto al fisco degli Stati in cui era stato prodotto.

Chiamato a difendersi, Juncker se l’è cavata così: «Ho sempre lavorato per promuovere l’armonizzazione fiscale in Europa. Non c’è nessun conflitto d’interesse dal momento che la stessa commissione ha lanciato indagini sul Lussemburgo».

La commissione è presieduta da lui, che indaga su se stesso nella miglior tradizione levantina, Chissà come va a finire.

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