La volpe nel pollaio

L’Arabia Saudita è un Paese affascinante e controverso. In Arabia Saudita ieri sono morte oltre 700 persone schiacciate nella calca durante un pellegrinaggio alla Mecca e il ministro dell’Interno si è limitato a dire: «Non hanno seguito le istruzioni».

In Arabia Saudita esistono ancora le pene come l’amputazione delle mani e dei piedi per i ladri, punizioni corporali per reati minori e la fustigazione per «cattiva condotta sessuale». Nel 2002 le Nazioni Unite, proprio per queste pratiche, hanno mosso critica formale alla delegazione saudita, che ha risposto: applichiamo semplicemente il Corano da 1400 anni e rifiutiamo interferenze nel nostro sistema legislativo.

In Arabia Saudita è noto che le donne subiscono discriminazioni palesi dei diritti umani. Non possono guidare l’automobile, sono sottoposte al controllo di morigeratezza nei costumi (con standard rigidissimi) dalla polizia religiosa, non possono accedere ad alcune cariche pubbliche, non possono lavorare nello strategico settore petrolifero. Possono studiare, ma in scuole separate rispetto ai maschi. Un antico proverbio di quella terra recita: «Una ragazza non possiede altro che il suo velo e la sua tomba».

Nelle prigioni dell’Arabia Saudita langue Raif Badawi, blogger incarcerato per aver protestato in favore della libertà di espressione. Gli è andata meglio che al collega Alì Mohamed al Nimr, condannato a morte per decapitazione e poi crocifisso per aver partecipato a una manifestazione antigovernativa. Ebbene, come una volpe nel pollaio, da oggi l’Arabia Saudita presiede la commissione dell’Onu sui diritti umani. Tutto vero.

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