Mauro Moretti, i treni e i troni

di Giorgio Gandola

E adesso Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, attende che Matteo Renzi lo convinca ad abbassarsi lo stipendio partendo dagli 850 mila euro l’anno. Conoscendo la scorza del manager sarà una bella lotta

E adesso Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, attende che Matteo Renzi lo convinca ad abbassarsi lo stipendio partendo dagli 850 mila euro l’anno. Conoscendo la scorza del manager sarà una bella lotta, anche se i successi finanziari di Trenitalia che Moretti non si stanca di evidenziare non sono proprio immuni da decisive e sostanziose iniezioni di denaro da parte dell’ente pubblico.

Per comprenderlo basta mettere in fila un paio di numeri. Nel 2012 i ricavi di Trenitalia sono stati di 8,2 miliardi di euro, ma solo 2,8 di questi denari sono arrivati dalla vendita dei biglietti. E gli altri cinque miliardi e rotti? Arrivano dallo Stato con quello che si chiama «diritto di mobilità». Nello specifico: 2,4 miliardi di contributi per investimenti relativi all’ammodernamento dell’infrastruttura; 1,2 miliardi per l’obbligo di servizio pubblico via mare fra scali ferroviari; 1,2 miliardi di contributi quindicennali per la prosecuzione dell’alta velocità; 240 milioni di fondo investimenti delle Ferrovie dello Stato spa; 380 milioni per «obblighi tarriffari e di servizio per il trasporto viaggiatori». E via con gli spiccioli.

Da tutto ciò si evince che Trenitalia sta in piedi perché lo Stato, quindi il contribuente, paga salato il servizio. Ben altro potere contrattuale Moretti avrebbe se il contributo dell’azienda al bilancio fosse superiore al 25% attuale. Tutto ciò ci riporta a un motto di Andreotti. «Ci sono due tipi di matti, quelli che si credono Napoleone e quelli che pensano di risanare le ferrovie».

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