Medaglie sporche

di Giorgio Gandola

Li hanno identificati come musulmani, li hanno arrestati, hanno separato gli uomini dalle donne e dai bambini, li hanno uccisi e li hanno gettati nelle fosse comuni.

Li hanno identificati come musulmani, li hanno arrestati, hanno separato gli uomini dalle donne e dai bambini, li hanno uccisi e li hanno gettati nelle fosse comuni.

Ottomilatrecentosettantadue morti fabbricati a mano, quasi tre volte le vittime delle torri gemelle, il peggior eccidio in Europa dalla fine della Seconda guerra mondiale. Questo è il massacro di Srebrenica, Bosnia, Balcani, durante il grande delirio della guerra civile che ha portato alla deflagrazione della Jugoslavia.

I responsabili serbi li conoscevamo già: il generale Mladic e i suoi carristi, Arkan e le sue milizie, Karadzic e le sue teorie politiche. Ma una sentenza di ieri, 19 anni dopo il massacro, ci consente di ricordare anche altro. Anzi di mettere in moto il vizio della memoria per allontanare future e sempre possibili tentazioni.

Allora l’enclave di Srebrenica era protetta (si fa per dire) da tre compagnie olandesi di caschi blu dell’Onu messe lì per accogliere tutti i profughi musulmani in fuga dalle rappresaglie nella zona. Quei soldati in rappresentanza del mondo libero e sotto la bandiera della pace si voltarono dall’altra parte e lasciarono che l’eccidio si realizzasse. Una famiglia che chiedeva la salvezza nella base Onu fu rigettata indietro e abbandonata alla furia delle tigri di Arkan.

Ieri il Tribunale dell’Aja ha ritenuto responsabile l’Olanda della morte di 300 musulmani in quell’estate del 1995. Al rientro in patria, per difenderli da accuse pesantissime ritenute ingiuste, il ministro della Difesa olandese decorò quei militari con medaglie al merito. E la Commissione europea applaudì.

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