Occhio al bancomat

L’allarme rosso che qui vogliamo lanciare non riguarda il caldo, effetto democratico dell’anticiclone africano. Ma un fresco codicillo inserito dalla solita manina molesta dentro una legge tributaria che il governo potrebbe rendere esecutiva nella Finanziaria allo studio.

Si tratta di un paio di frasi che somigliano a un bacillo e che vanno a intaccare la libertà dei cittadini con partita Iva (questa volta nel mirino ci sono artigiani e piccoli imprenditori), i quali secondo la grida mascherata dovrebbero provare davanti all’Agenzia delle entrate come spendono i contanti prelevati al bancomat.

In caso di controlli, solo una piccola percentuale potrebbe passare come «spesa personale», mentre il resto rischia di finire dentro l’accertamento con l’ombra del nero da evasione fiscale. Quindi, in teoria, bisognerebbe tenere un registro anche delle spese in contanti fino agli spiccioli. Caffè al bar? Scontrino da conservare. Mancia al cameriere? Solo se può fare la ricevuta. Come giustamente scrive Nicola Porro sul Giornale: «Se avete un’amante, più che a vostra moglie dovrete renderne conto al Fisco».

La norma era in sonno dentro la Finanziaria del 2005 varata dal governo Berlusconi, dimenticata lì dalla consueta sciatteria legislativa. Ma adesso rischia di tornare fuori e di avere effetti devastanti sulla vita degli italiani. La speranza è che il governo se ne accorga e la congeli o la cancelli in tempo utile prima che la burocrazia amministrativa la utilizzi come un coltello da puntare alla gola del contribuente. Il Fisco tende a tranquillizzare: «Verrebbe usata con ragionevolezza». Con tutto il rispetto, della ragionevolezza dei bollettini di Equitalia o delle ingiunzioni tributarie è lecito dubitare.

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