Quattro righe d’oro

Quattro righe perse per strada dalla legge in un passaggio ministeriale e 160 mila pensioni d’oro sono rimaste, con i saluti e i ringraziamenti dei ricchi beneficiari, quasi tutti funzionari statali, giudici e docenti universitari.

A scoprirlo è Gian Antonio Stella, un giornalista davanti al quale bisogna togliersi il cappello. Ma dobbiamo ammettere che più bravo di lui è il possessore della manina avvelenata che ha cancellato quel comma dalla legge Fornero del 2011, architettata proprio per «togliere ai ricchi e dare ai poveri», con il risultato che i ricchi possessori di quei requisiti graveranno sulle casse dello Stato per ulteriori due miliardi e mezzo nei prossimi dieci anni.

La faccenda è complicata, ma ce la possiamo fare a sintetizzarla. Chi aveva i requisiti per andare in pensione ma voleva esercitare l’opzione di continuare a lavorare avrebbe potuto incrementare l’assegno di quiescenza (è ovvio) senza però mai superare la soglia dell’80% dell’ultimo stipendio. L’avevano persino chiamata «clausola di salvaguardia», una specie di argine procedurale alla bulimia da vitalizio che negli ultimi anni ha posseduto come una febbre malarica le alte sfere della pubblica amministrazione.

Ora l’Inps scopre che pensioni già da 20-25 mila euro al mese (per favore non innervositevi) rischiano, senza quelle quattro righe sparite, di avere un incremento anche del 110-115%. Nessuna invidia, ci mancherebbe. Ma solo per dare un’idea di dove siano annidati i veri e potenti oppositori alle riforme. Altro che Camusso.

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