Quei semi
nel ghiaccio

È il bunker della vita. Sembra una contraddizione in termini, ma quel luogo a mille chilometri dal Polo Nord, nelle isole Svalbard, scavato 130 metri sotto la crosta di ghiaccio, non può avere altra definizione. È stato realizzato in un luogo freddo, meraviglioso e sperduto per conservare i semi di ogni pianta della Terra.

Un’Arca di Noè della biodiversità che la Norvegia ha voluto finanziare nel 2007 proprio per preservare da calamità, guerre e follìe assortite la vegetazione e le colture. All’inizio sembrava solo qualcosa di eccentrico, più attinente a un film di James Bond che alla necessità scientifica di catalogare la natura. Ma quando i ricercatori di numerosi paesi del mondo hanno cominciato a bussare alla porta d’acciaio dello Svalbard Global Seed Vault - circondata dai ghiacci e protetta dagli orsi polari - per recare i semi delle loro terre, si è capito che quel bunker era considerato salvifico. A tal punto che oggi, lassù, sono stoccati 400 milioni di chicchi, granelli, embrioni in rappresentanza delle specie floreali del pianeta.

L’ultima telefonata è recente e arriva dalla Siria, zona di Aleppo, dove scienziati costretti dalla follia umana a lavorare sotto le bombe hanno chiesto a colleghi norvegesi di tenere un posto anche per i loro semi. Considerate le nobili distinzioni che i tagliagole dell’Isis fanno davanti a ciò che incontrano, la preoccupazione dei ricercatori non ci sembra fuori luogo. Ed è certamente superiore a quella dei grandi della Terra, impegnati ad aprire tavoli, ad organizzare vertici con slide a colori e matite appuntite mentre la Siria brucia. Così finiremo per raggiungere un obiettivo abbastanza paradossale: salvare i cactus (comunque nobile intento) e lasciar morire le persone.

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