Se la ruota gira

di Roberto Belingheri

Urge il numero di telefono di questo Hesjedal. Guardatelo su Youtube. Nei giorni scorsi, alla Vuelta, il corridore canadese cade in discesa. La bici, seguendo le leggi della fisica, s’accascia.

Urge il numero di telefono di questo Hesjedal. Guardatelo su Youtube. Nei giorni scorsi, alla Vuelta, il corridore canadese cade in discesa. La bici, seguendo le leggi della fisica, s’accascia. Ma non si ferma. La ruota posteriore gira. Pensi: adesso tocca l’asfalto e si ferma. No: tocca l’asfalto e gira ancora. La sua forza è maggiore dell’attrito esercitato dalla sede stradale. La sua forza è tale che trascina la bicicletta, che facendo perno sulla ruota anteriore finisce per girare in tondo, su se stessa.

Hesjedal si alza, corre verso la bici per fermarla. Ma nel frattempo la medesima, forse colta da improvviso senso di colpa, sceglie di farla finita, gettandosi sotto la moto delle riprese tv.

Cos’è successo, in definitiva? Niente. Cosa ci si chiede? Molto: e cioè se la bici di Hesjedal contenesse quel che si usa definire «doping tecnologico», un sistema di pedalata assistita simile a quello che usano le casalinghe per portare a casa la spesa facendo meno fatica.

Strano che - qualora fosse fornito del prezioso optional - il vincitore del Giro del 2012 l’avesse azionato in discesa. Fatto sta che quella ruota gira, e adesso girano anche le scatole di tanti appassionati. Perché il mondo del ciclismo è prontissimo a scattare in piedi - giustamente - per ogni «zero virgola» fuori posto nelle analisi antidoping, ma non sembra così reattivo di fronte a immagini come queste. Eh sì che eseguire una colonscopia a quella bici non sarebbe così complesso, volendo.

Fuori il numero di Hesjedal, dai. Che qui non si vede l’ora di uscire in bici e tornare a casa tronfi così: «Cara, oggi 100 chilometri. E non ho nemmeno il fiatone».

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