Se l’euro è del dipendente

di Sergio Invernizzi

C’è protesta e protesta. C’è chi urla, anche legittimamente, e c’è chi costruisce nel silenzio, e silenziosamente ma altrettanto con forza alza la voce contro chi, in questi anni di crisi dura, non ha fatto nulla, o ben poco, per dare speranza a chi s’è ritrovato senza occupazione.

C’è protesta e protesta. C’è chi urla, anche legittimamente, e c’è chi costruisce nel silenzio, e silenziosamente ma altrettanto con forza alza la voce contro chi, in questi anni di crisi dura, non ha fatto nulla – diciamolo così, pure noi per non alzare i toni –, o ben poco, per dare speranza a chi s’è ritrovato senza occupazione. Per farla breve: come dare in pegno la propria casa per salvare l’azienda e il lavoro di 22 colleghi, 22 dei 300 dipendenti della Anovo Italia di Saronno (Varese), controllata dell’omonimo colosso francese attivo nella riparazione di apparecchiature elettroniche, e fallita nel novembre 2011.

Tutto inizia un anno fa, quando Enzo Muscia e Fabrizio Masciocchi, due ex dipendenti quarantenni, hanno finanziato la rinascita di Anovo dando in pegno la loro abitazione, dal momento che, come ha spiegato Muscia, già responsabile commerciale di Anovo Italia, le banche non erano intenzionate a concedere alcun finanziamento.

«Ci credevamo – racconta – ed era assurdo far morire una realtà che aveva dimostrato di funzionare, dove c’erano tutte le professionalità giuste» Così Anovo ha rimosso i primi passi prima con 11 dipendenti e pochi clienti, e ora con 22 addetti, che a marzo diventeranno 36, tutti ex lavoratori di Anovo Italia.

L’azienda infatti ha vinto due bandi per gestire la manutenzione di impianti Pos per il pagamento elettronico, assembla monitor medicali e si occupa della manutenzione di impianti per la sicurezza e dei televisori a circuito chiuso presenti negli alberghi. Alla faccia delle banche e chi non ci ha creduto. Alla faccia di chi urla e basta.

© RIPRODUZIONE RISERVATA