Sette mesi per un numero

Attirare imprese in Italia, aiutarle a creare lavoro e fatturato, favorire il ricambio delle società in uscita, fuse o vendute: è uno dei grandi progetti del governo Renzi per favorire il rilancio del Paese, che giocoforza passa attraverso lo slogan «Un Fisco amico e non più ostile».

Proprio per questo lascia di stucco una norma di cui nessuno parla se non il blog di Oscar Giannino e quelli di esperti tributari, giustamente poco frequentati dal pubblico nei giorni della Grande Calura.

Eccola, già tradotta dal burocratese all’italiano: chi vorrà investire 30 e più milioni in Italia, invece di ottenere il tappeto rosso, poi agevolazioni nei servizi, quindi una regola fiscale certa (come avviene nel resto del mondo che ha interesse a far crescere il Pil) potrà chiedere all’Agenzia delle entrate di sapere a quale trattamento fiscale sarà esposta.

Chiedere è lecito, diceva mia nonna Severina, e rispondere è cortesia. Ebbene, il Fisco risponderà, ma avrà sette mesi per farlo. Centoventi giorni di prassi e poi eventualmente altri tre mesi per «verifiche approfondite». Una tempistica delirante, atta a far scappare le aziende invece che ad attirarle.

Oggi sette mesi sono un tempo infinito per chi deve provare a rimanere sul mercato con competitori internazionali, dentro l’oceano della globalizzazione. Ma al di là dei numeri, è la filosofia a deludere.

Tutto questo significa che non c’è certezza del diritto, non ci sono punti di riferimento sicuri per chi intende mettere sul piatto 30 milioni. Ancora una volta, tutti sdraiati davanti alla burocrazia.

La specifica è inserita nel decreto sull’internazionalizzazione. Nel senso che, in attesa della risposta del Fisco, la suddetta azienda avrà deciso di aprire lo stabilimento in Canton Ticino o in Slovenia.

© RIPRODUZIONE RISERVATA