Una domanda
Si potrebbe continuare fino in Lussemburgo, nel senso che dopo la strage nell’hotel di Bamako il principato ha raddoppiato il suo impegno militare in Mali: aveva un soldato e ne ha inviato un altro. Con due milioni di euro per migliorare l’equipaggiamento dei militari del Paese africano in lotta con l’Isis.
E l’Italia? Mai pronunciata la parola guerra. Giusto o sbagliato è così. Sul tema l’attenzione del premier Renzi è totale e quella del ministro degli Esteri Gentiloni è spasmodica. I Tornado? Vanno in appoggio ai francesi. I 450 soldati? Vanno a proteggere la diga di Mosul. Si parla di conflitto, crisi, emergenza umanitaria, monitoraggio attivo. Esattamente come si parlava di «tuonare i radar» durante la guerra del Kosovo per poi scoprire che gli aerei partivano carichi di bombe e tornavano vuoti. Fino a quando un top gun non si lasciò scappare: «Non affondiamo pescherecci in Adriatico». E il governo D’Alema rischiò di saltare.
Anche oggi l’attenzione è massima e una domanda che arriva dal profondo si appresta a eruttare. Ma se non riusciremo mai come Paese a pronunciare la parola guerra (giusto o sbagliato che sia) e a combatterla, per quale motivo spendiamo otto miliardi per comprare degli inutili cacciabombardieri F35?

© RIPRODUZIONE RISERVATA