Una storia semplice

di Giorgio Gandola

Cosa manca all’estate per essere definita tale? Va bene, il sole. E poi? Una bella polemica letteraria, di quelle che fanno indignare gli intellettuali, dottamente argomentare i giornali, litigare i commentatori seriali sul web.

Cosa manca all’estate per essere definita tale? Va bene, il sole. E poi? Una bella polemica letteraria, di quelle che fanno indignare gli intellettuali, dottamente argomentare i giornali, litigare i commentatori seriali sul web. E fanno dire sottovoce alla gente comune: ma non avete niente di meglio da fare?

Quest’anno l’affaire è esploso in Sicilia, al premio Sciascia, dove un giurato si è dimesso contro la decisione di far entrare in finale un libro scritto dal giornalista Carmelo Sardo e da Giuseppe Grassonelli, killer mafioso ed ergastolano. Il tema è autobiografico. Di solito in questi libri ciascuno fa il proprio mestiere: il protagonista racconta, il giornalista confuta, approfondisce e soprattutto scrive, quindi il suo ruolo non è secondario nel determinare il valore di un’opera. Eppure l’indignazione è sovrana e il mafioso non pentito scuote le coscienze.

Pur ammettendo un certo imbarazzo nel vedere Grassonelli in zona podio con Caterina Chinnici, la figlia del giudice ucciso dalla mafia, non riusciamo ad auspicare la squalifica del libro. Anche perché sarebbe poi difficile giustificare la sterminata pubblicistica che accompagna gli ex brigatisti (non ce n’è uno che non abbia scritto la sua versione dei fatti), il successo in Francia dei libri di Cesare Battisti, il terrorista assassino rifugiato in Brasile, i tomi filosofici di Toni Negri, il tour in cattedra di Renato Curcio che non ci pare si sia pentito e persino gli interventi (con tutto il rispetto) di Adriano Sofri, mandante dell’omicidio Calabresi. Poiché il premio è intitolato a Leonardo Sciascia, vorremmo ricordare alla giuria qual era l’istituzione dello Stato che detestava di più: la censura.

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