Ventotto anni dopo

Bisogna ammetterlo, con la comunicazione Matteo Renzi ci sa fare. All’annuncio della nuova legge sulla responsabilità civile dei magistrati, il tweet con la foto di Enzo Tortora è molto di più d’una manifestazione di giubilo.

È il segno del torto per antonomasia. La legge è controversa, le associazioni di categoria temono una crescita esponenziale delle cause risarcitorie con improbabili appigli e il sistema giudiziario potrebbe finire ancor più ingolfato. Ma è anche giusto aggiungere che si tratta dell’applicazione quasi forzata di un dettato dell’Europa, pronta ad aprire una procedura di infrazione contro il nostro Paese. E ancora prima del rispetto dell’esito di un referendum votato dagli italiani a maggioranza nel 1987, vale a dire ventotto anni fa. Anche questa è, seppur tardiva, legalità.

Senza contare che gli errori giudiziari nel nostro Paese sono aumentati in modo significativo negli ultimi anni. Vuoi per le carenze d’organico, vuoi per un’organizzazione sempre più complessa, vuoi per lacune investigative, ma i cittadini hanno cominciato a toccare con mano la fragilità di quello che un tempo era percepito come il solido e solenne maniero della Giustizia. Fino al 2012, dall’entrata in vigore della legge Vassalli, i ricorsi per danni degli italiani sono stati 400, ma l’autogoverno della magistratura ne ha accettati 34 e ne ha riconosciuti validi solo 5. Poco più dell’uno per cento, statistica terribilmente illuminante. Se un cittadino sbaglia, in famiglia e sul lavoro, va incontro a conseguenze. È giusto che valga per tutti.

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