Le tracce
di Ilde

Un poeta della prosaicità. Della vita quotidiana, sfrontatamente normale, per non dire banale. Anche nei suoi particolari più piccoli, bassi, umili. Nei suoi (subìti) fastidi e (cercati) piaceri, in continua, trita alternanza. Di una certa fisica, se non fisiologica, concretezza. Il medico, appunto, Andrea Vitali sforna romanzi a ritmo di industriosa impresa artigiana.

Dopo «Un bel sogno d’amore» (maggio 2013), è già ricomparso in libreria, in ottobre, con «Di Ilde ce n’è una sola»; e con il più prenatalizio «Come fu che Babbo Natale sposò la Befana» (Mondadori, pp. 128, euro 12,90), prima sua favola per bambini. Abbandonata l’ambientazione anni ’30 e «fascismo da operetta», cui fedele per moltissimo tempo e titoli, in questa «Ilde» il medico scrittore di Bellano torna a un trionfo anni ’70, già celebrati in «Un bel sogno d’amore» (1973). Se, là, l’aria dell’epoca era marcata, già nelle prime righe, dall’uscita di «Ultimo tango a Parigi» (spaventosamente sopravvalutato) qui impazzano, al juke box, «In the Summertime» e «Io vagabondo» (1970).

Ma, ben aldilà di queste note cine-musicali, maestro è, Vitali,

nel restituire, in una fiera di piccole cose normali, prosaiche e talvolta brutte/volgari, atmosfera, tono e sapori di un’epoca. E odori. Perché è volutamente tenuta ben viva, anche qui, l’attenzione a puzze e profumi, inaugurata, e al suo zenit sin da titolo, in «Zia Antonia sapeva di menta».

Un’atmosfera restituita anche nel suo sboom, dopo il «miracolo» dei ’60; nei discorsi, nelle scenette familiari che si ripetono sempre uguali.

Un’atmosfera che, questa volta, lo scrittore ha vissuto, e assorbito, in prima persona: e si sente. Capace, Vitali, da un accadimento piccolo/piccolissimo, ostentatamente banale, di trarre suspense e trame. Ma Bellano, cui invece Vitali continua strenuamente, e anche in questa «Ilde», a essere fedele, «non si presta ad eventi e trame eccezionali».

Un bimbo solitario trova una carta d’identità planata, da chissà dove, sul fiume. Tanto basta per

imbastire, intanto, una scena non priva di attesa e trepidazione (oddio, il bimbo un po’ «rachitico» riuscirà a non farsi trascinare dalla corrente?), pur mai eccedendo la piatta normalità. E, poi, l’ennesimo intreccio Vitali’s way. Di chi è la carta? Perché manca la foto? Come è finita lì, appartenendo

a donna di Fino Mornasco (Ilde, appunto)? Occasione per le consuete indagini senza morti e senza sangue; per inseguire, tutt’al più, qualche mistero buffo (e paesano), dar la stura a qualche pettegolezzo, scoprire qualche scheletro nell’armadio. Senza cadaveri fatti a pezzi o anatomopatologhe

d’assalto.

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