Gattinoni si fa bergamasco
Le sue borse le sogna Marina

Sogna tanto e sorride poco Marina Lorenzi. Un animo malinconico, gli occhi chiarissimi che la raccontano senza troppe parole. Da quattro anni ha preso in mano la storica «G» della moda italiana, dedicandosi alla linea accessori della maison nata negli anni Cinquanta dalla classe di Madame Fernanda.

Sogna tanto e sorride poco Marina Lorenzi. Un animo malinconico, gli occhi chiarissimi che la raccontano senza troppe parole. Da quattro anni ha preso in mano la storica «G» della moda italiana, dedicandosi alla linea accessori della maison nata negli anni Cinquanta dalla classe di Madame Fernanda. Sue tutte le borse che Gattinoni (la licenza accessori è della Marcorossi di Varese, ndr) sta realizzando, sue le forme geometriche, l’abbinamento «mondrianesco» dei colori, l’idea di impreziosire bauletti e modelli a spalla con catene e cerniere.

Nella sua casa di Torre Boldone, lavora su un grande tavolo ricolmo di pezzi di stoffe e pelli, tra bozzetti a mano e matite colorate. «Faccio ordine mentale nel mio disordine imperante, tra i miei pensieri e quei sogni che faccio di notte». Perchè Marina, le borse, se le sogna davvero: «Non è un modo di dire. Sono una nottambula, ma quando poi dormo mi vengono un sacco di idee e alla mattina finisce che mi metto a disegnare come una matta». Sorride e come compagna di lavoro c’è la fedele gatta Raja, che sonnecchia sulla scrivania. «Mi faccio ispirare dalla musica, tanto dall’arte e da quanto mi circonda. Guardo le donne per strada, come si muovono nella vita di tutti i giorni, e cerco di tradurre le loro aspettative, sempre tenendo ben in mente il marchio storico con cui ho a che fare: Gattinoni è rivolto a una donna elegante, raffinata, ma che ha anche voglia di colore e gioia».

La stampa Planetarium è parte della collezione, una fantasia coloratissima ispirata ai disegni del cartografo seicentesco Andreas Cellarius, omaggio alla creatività senza tempo: «Questa linea in particolare è amatissima all’estero, soprattutto dai Paesi del Medio Oriente, una stampa che ci fa conoscere in tutto il mondo». E pensare che Marina, con le borse non aveva nulla che fare: «Ho iniziato dall’abbigliamento: ero una ragazzina e nei primi anni Ottanta lavoravo nella ditta di mio padre che a Gorle aveva l’esclusiva abbigliamento uomo di Pierre Cardin». A metà degli anni Ottanta approda da Trussardi: «Ero nell’ufficio stile, seguivo gli accessori in pelle, le borse e la piccola pelletteria: sono stati anni intensi ed entusiasmanti - racconta -. Lavorare con il signor Nicola e sua moglie Maria Luisa è stata la miglior scuola che potessi seguire. Si respiravano grande passione e voglia di investire sui giovani». Dopo Trussardi, Marina si occupa negli anni anche di Tosca Blu, Liu Jo, Ripani e numerose piccole e grandi realtà del mondo della pelletteria, con pure una sua linea personale, realizzata insieme a un’altra designer bergamasca, Amanda Ghirardi: «Si chiamava “Borsarara”, borse vintage rieditate e personalizzate con grande estro. Piacquero molto, fu una capsule che ci diede grande soddisfazione, con un numero limitato di modelli e una grande voglia di giocare con i colori e la fantasia» racconta.

Ora Marina Lorenzi si dedica a Gattinoni, ma guarda anche al mercato estero con qualche proposta di collaborazione da vagliare: «Ho voglia di mettermi in gioco, spingendo sulla mia italianità, sul valore delle conoscenze artigianali in cui credo. Cerco nuove ispirazioni, nuovi progetti». E a spingerla è la musica, un quadro, un viaggio lontano: «Sento il bisogno di nuove sfide e Gattinoni è una grande passione: profuma di storia, di sartoria, di charme d’altri tempi: ha un’allure che viene da lontano, di grande rispettabilità ed eleganza, che non è così scontata in questa fase della moda».

Marina intanto non molla la matita dalle mani (è abitudine di famiglia, il fratello Marco è il titolare del brand Capobianco, ndr), continua a sorridere poco, ma si scioglie un po’: «Davvero le sogno le borse, e non me le scordo mai: credo molto nell’istinto, in quei raptus di pensieri che mi avvolgono e non mi mollano fino a che non li traduco su carta». E così si chiude nel suo mondo e disegna. Impulsiva, ribelle. E senza orpelli. «Pochissimi dettagli, linee pulite, amo i contrasti: è la forma l’essenziale della borsa, l’accessorio che veste la donna nella sua totalità. Qui è nascosta la sua anima». Prima di lei lo disse Chanel a modo suo: «È l’accessorio di moda basilare, indimenticabile, non visto, quello che preannuncia il tuo arrivo e prolunga la tua partenza». E Marina, patita di vintage, appassionata di vecchie Gucci e delle creazioni Fendi, così come delle inconfondibili Hèrmes, su una borsa in particolare ha qualcosa da dire: «Sulla “Luggage” di Céline, la “borsa con le ali”: disegnata nel 2010, l’avevo inserita tempo prima in una piccola collezione presentata a un’azienda abruzzese. Anticipai una tendenza, ora mi mordo le mani: è una delle borse più copiate, ripensate, incredibilmente contemporanea. Insomma amatissima. Anche da me».

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