Bagno di sangue
Faraz la speranza

Il terrore e la violenza, seppure a distanza, hanno toccato la nostra vita. Persino la nostra provincia con la morte della giovane mamma Maria Riboli e con la morte degli altri italiani e italiane che in quel momento si trovavano in quel dannato locale. Ormai si globalizza tutto, anche la violenza e la morte.

Tu ricevi la notizia di un attentato avvenuto dall’altra parte del mondo e poi scopri che è stata colpita una famiglia di Solza. Il mondo è ormai veramente piccolo, è poco più che un villaggio per attraversare il quale occorre coraggio, perché la via è disseminata di problemi culturali e sociali di cui anche chi si mette in viaggio spesso non ha consapevolezza.

Tuttavia, man mano arrivano le notizie, aumentano i motivi di riflessione. Infatti ci viene detto che i terroristi assassini non erano ignoranti emarginati dalla società, ma giovani che avevano studiato in scuole private, figli di famiglie benestanti. Quindi le motivazioni della radicalizzazione e della scelta di entrare in gruppi fondamentalisti e terroristici cambia. In Belgio e a Parigi dobbiamo andare a cercare nelle periferie abitate dall’emarginazione a Dacca invece l’ambiente che ha generato gli assassini è la borghesia. Da Bagdad non giungono per il momento notizie certe.

Però, in questo bagno di sangue c’è un giovane che si chiamava Faraz, il quale ha scelto di morire insieme alle sue amiche pur potendo salvarsi. Ecco, questa notizia mi ha consolato. Un giovane musulmano che non abbandona delle amiche ritenute infedeli, ma decide di morire con loro. Non conosco questo giovane, però lo ricorderò sempre. Si, perché è un uomo che ha dato la propria vita per l’amicizia e non ha ritenuto le sue amiche delle infedeli, inferiori, perché non sapevano recitare versetti del Corano.

Non so cosa ne pensiate voi, ma in questa tragedia il giovane Faraz è per me motivo di consolazione, una boccata d’ossigeno. Nessuno lo tratteneva, lui il Corano lo conosceva, eppure ha dato la vita per l’amicizia. Secondo me è importante. Forse riusciremo un giorno a dare la vita gli uni per gli altri, riusciremo a vivere perché l’altro viva, traendo ognuno ispirazione dalla tradizione religiosa che ci ha generati alla vita e alla fede. Per i cristiani dovrebbe essere più immediata la cosa, visto quello che Gesù dice e vive, sino alla morte.

La vicenda di Faraz però ci insegna che questo è possibile anche per le persone di altre religioni. Si, perché qui non si tratta semplicemente di tolleranza, ma di dare la vita, dicendo in modo assolutamente incontrovertibile che saper recitare i versetti del Corano è compatibile con il morire con e per gli altri, affinché essi vivano, perché la loro singolarità ci arricchisce e rende più bella l’umanità intera. Le amiche di Faraz sono state uccise insieme a lui, ma nella tragedia e nel dolore che proviamo per questa violenza, nasce una luce, piccola e immensa nello stesso tempo, quella della reciprocità non tradita, che è la bellezza dell’amicizia.

In questi ultimi tempi stiamo rischiando di fare l’abitudine alla violenza. Molto spesso abbiamo il legittimo pensiero che, se la religione è all’origine di questi eventi terribili, è meglio evitarla. Però dobbiamo fare attenzione. Quando un uomo e una donna capiscono che Dio è relazione, allora è possibile che, invece che togliere la vita agli altri in nome di un versetto recitato a memoria, si arrivi anche a dare la vita per quella relazione che non ci ha tolti a noi stessi, ma ci ha fatti riscoprire come umani. Sono le sorprese di Dio e dell’uomo che incontra Dio, il Dio vivente, non il religioso di quattro bulli benestanti seminatori di morte.

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