Le lame dei grandi campioni
nascono in un box di Loreto

Come fa il filo lui non ce n'è. No, cosa avete capito, il soprannome di Gianluigi Galizzi non è Casanova ma «Giangi»: per l'abilità nell'affinatura delle lame dei pattini, in Italia e in Europa, ormai sono pochi quelli che non lo conoscono.

Avete presente i pattini con cui Nicole Della Monica e Yannick Kocon sono scesi sul ghiaccio del Pacific Coliseeum? Ecco, l'ultima messa a punto gliel'ha data lui. E avete presente i vari Marchei, Bacchini, Contesti, Faiella-Scali e Cappellini-La Notte? Ecco, negli ultimi due anni, non ce n'è uno che sia uscito dal suo laboratorio di Loreto senza lasciare un autografo o ringraziarlo.

Lui curva la schiena, impugna l'affinatrice, lavora al nanomillimetro sul rocker e alla fine fa dei piccoli capolavori di precisione: «Al termine della lavorazione ideale, l'atleta non deve nemmeno accorgersi che sono stati affinati - spiega - appena scende sul ghiaccio la confidenza deve essere sin da subito massimale».

Se il sogno della vita di ogni meccanico è mettere mano al motore di una Ferrari, e quello di uno skiman è avere fra le mani gli sci della Vonn, nel suo sport il top si chiama Evgeni Plushenko. Sì, lo zar del ghiaccio, quello battuto più dai giudici che dagli avversari a Vancouver. Ebbene, un anno e mezzo fa, al «Giangi», sono passati per le mani anche i suoi pattini.

«Ero a Pinzolo con Franca Bianconi (ex cittì azzurra) - ricorda - e a un certo punto ci chiamano nel palazzetto dove si allena Russia e ci si presenta davanti Hishing in persona, un'icona nel pattinaggio di figura. C'è un problema al laccio di un pattino e io lo sistemo. Hishing nota che ho lì a fianco tutto il mio armamentario e mi propone di affinarne uno: scruta, fa cenno di sì col campo, e nel pomeriggio mi porta quelli di tutta la Nazionale. Plushenko compreso, non so cos'abbia provato lui nel 2006, ma per me è stato come vincere la mia Olimpiade».

Quarantasei anni, un diploma di perito meccanico nel cassetto, Galizzi s'è inventato questa attività quasi per caso: «Otto anni fa mi ero iscritto a un corso di pattinaggio su ghiaccio - ricorda -. Dopo un po' i pattini vanno ko e delego l'affilatura a un amico: guardo il risultato, faccio due conti e mi domando: ma un lavoro così, non posso farlo pure io?».

Risposta: assolutamente sì. Primo passo: acquistare gli attrezzi più rudimentali del mestiere (poi aumentati in maniera esponenziale). Secondo passo: prime lavorazioni e test di amici di fiducia. Claudio Fico, ex azzurro della nazionale dà l'ok, e da allora, dai palazzi del ghiaccio di Bergamo e Zanica in là, è stata un'escalation continua: «Ho anche riannodato i fili con il passato - continua - perché lavorare il ferro è una tradizione di famiglia. Aveva iniziato mio bisnonno nel 1893 a San Giovanni Bianco con la fucineria Santo Galizzi. Aveva proseguito nonno Giovanni che dalla guerra aveva importato nuove tecniche. I figli hanno portato avanti l'attività di produzione di ferri da taglio sino al 1990, perché poi il mercato ha portato a scelte diverse. Il loro slogan di ieri è però anche il mio: più qualità, più velocità, uguale più produzione».

Sarebbero infiniti gli aneddoti da raccontare sulla sua passione (in un settore quasi inesplorato in Italia) ma ne scegliamo due. La visita alla Wilson di Sheffiled, azienda fra le più prestigiose al mondo nella produzione di pattini: «Avevo alcune osservazioni da fare sulle lame, sul momento gli ingegneri mi hanno guardato come se scendessi da Marte, ma alla fine il capo è venuto a stringermi la mano».

E la visita al tedesco Podhaski, il Guru europeo di questa attività, che vanta tradizione soprattutto a nord-est: «L'ho chiamato al telefono, gli ho chiesto se poteva ospitarmi per darmi dei consigli e due minuti dopo ero in macchina per la Germania. La mia molla è la passione, la voglia di saperne sempre di più e ricercare la perfezione».

Oggi ha un solo cruccio, il fatto che la Nazionale italiana, in manifestazioni come le Olimpiadi, non preveda figure come la sua a supporto della spedizione: «Un rischio inutile - prosegue - perché un inconveniente da nulla rischia di compromettere un lavoro di quattro anni. I casi di intervento su una sfilatura poco prima della gara non sono rari, ma qualcuno non ha imparato la lezione». Lui, l'arte della manualità, l'ha invece imparata da bambino: «Bici, auto o motocross che fosse, ho sempre curato io in prima persona i miei mezzi: fra qualche anno dico che la nostra figura nel pattinaggio sarà equiparabile a quella dello skiman nello sci».

Capiterà davvero? Staremo a a vedere. Di sicuro, dopo l'assistenza a molti Gran Prix Internazionali e agli ultimi campionati italiani, il mese prossimo sarà a Torino, per la sua manifestazione più importante di sempre, i Campionati mondiali: «Felice per me, ma lo sarò ancor di più se la morale della mia storia sarà stata utile anche a altre persone: tutti mi dicevano che i miei investimenti erano inutili, mi davano del "matto", invece il mio lavoro mi appassiona così tanto che a volte non lascio il laboratorio nemmeno di notte. La moglie Francesca sa sempre dov'è, nel garage sotto casa. Fa il filo come nessun altro, ma dorma pure sonni tranquilli.
 Luca Persico

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