Colantuono visto da Bonacina
«Tornerà ancora più cattivo»

Arriva, arriva. «Ma siamo certi che arriverà?». Valter Bonacina chiama, Stefano Colantuono, risponde. Indirettamente, da Torino e addirittura in conferenza stampa. «Non è che stiamo scherzando durante gli allenamenti qui a Zingonia», ha rivelato Colantuono alla vigilia di Torino-Brescia, finale d'andata dei playoff di serie B. Zingonia? E che c'azzecca con la Mole?, devono essersi chiesti (più o meno) i cronisti torinesi spiazzati dall'exploit dialettico.

Lapsus linguae, ovviamente. Colantuono, fino a domenica allenatore del Toro, non ha tirato in ballo Sigmund Freud per spiegare il «fattaccio». Più semplicemente, e con quella prontezza dialettica che lo contraddistingue, ha ammesso di essere distratto da «tutte queste voci che mi vedono accostato all'Atalanta».

Dribbling sugli specchi, schivata e fuga, quella che tre anni fa lasciò impietrita l'Atalanta dopo due anni di molti punti e diversi sogni. «Eravamo concretissimi, il suo marchio di fabbrica - ricorda Bonacina, che di Colantuono fu il viceallenatore insieme a Gabriele Matricciani - promozione in B con 80 punti (81 in effetti) e un grande campionato di serie A senza mai soffrire. Se tornerà (Bonacina non si sbilancia mai, ndr) tornerà bello carico: vorrà dimostrare di non aver dimenticato l'Atalanta, di essere ancora più cattivo al di là di come finì allora».

Curiosamente male. E curioso il feeling tra la bandiera Bonacina e il sergente Colantuono, il bergamasco riesploso a Roma e il romano consacrato a Bergamo e da Bergamo partito per il reame di Zamparini, Palermoland. Bonacina era il vice quando Colantuono prese l'aereo e disse ciao.

«Sì, ci rimasi male, come tutti, ma sono scelte e io le rispetto. Ci fu la possibilità di seguirlo, ma io volevo camminare con le mie gambe ripartendo dai giovani. Bergamo si sentì tradita? Forse, però lui amava davvero la città e l'ha sempre portata in palmo di mano. In due anni siamo riusciti a insegnargli il bergamasco, lui è uno curioso, naturalmente portato a stare con la gente. Ma quando doveva sfuriare tornava all'originale, italiano ben scandito e con accento di Anzio. E che sfuriate».

Un martello pneumatico, ma anche un compagnone.

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