Barreto e la Coppa America
«Guardateci, vi divertiremo»

Edgar Barreto a 26 anni è già alla sua terza Coppa America. Con la «Albirroja» - la biancorossa, com'è chiamata la nazionale del Paraguay - il centrocampista atalantino nel 2004 ha vinto la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Atene.

Edgar Barreto a 26 anni è già alla sua terza Coppa America. Con la «Albirroja» - la biancorossa, com'è chiamata la nazionale del Paraguay - il centrocampista atalantino nel 2004 ha vinto la medaglia d'argento alle Olimpiadi di Atene.

Nel 2010 ha guadagnato i quarti nel mondiale sudafricano segnando dal dischetto durante i rigori decisivi con il Giappone. E la foto della sua esultanza dopo quel rigore ha fatto il giro del mondo diventando il simbolo della «garra», della grinta con la quale il Paraguay gioca ogni volta che entra in un campo di calcio. La «garra» nel calcio è da sempre il segno distintivo dell'Uruguay, ma adesso la «Albirroja» ha superato la «Celeste».

«Ah, la "garra"... Sì - comincia Barreto - è diventata il nostro segno distintivo. Si è disposti a qualsiasi cosa per l'Albirroja. Sempre. Ma la "garra" adesso è sportiva, tutto finisce quando esci dal campo...».

Prima non era così?
«La "garra" era spesso sinonimo di violenza: si andava in campo per colpire, per far male all'avversario. Ora le cose sono cambiate...».

E la leggenda che vuole le vostre partite preparate come nessuna altra squadra potrà mai fare?
«Si parte dall'albergo e la musica, sul pullman, spacca i vetri. Sempre. È fortissima. E ci accompagna fino a quando scendiamo in campo. È la nostra musica sudamericana, l'abbiamo dentro. È il nostro modo per far salire l'adrenalina».

Prima non c'è?
«No, non c'è. Qui il calcio è pressione 24 ore al giorno, da noi invece la pressione non esiste. La creiamo noi, il quel modo. E non ditemi che la pressione fa bene al calcio. La pressione fa malissimo. Ve lo dico da sudamericano che in Europa ha dovuto imparare a conviverci».

Da voi non c'è neppure la tattica. O è un luogo comune?
«Beh, quando vado in Nazionale me la devo scordare, la vostra tattica. Qui in Italia si lavora troppo: devi pensare alle traiettorie, alle coperture, alle diagonali. Là si gioca un altro calcio...».

La sfida è con il diretto avversario...
«Appunto. Hai un avversario, quello ha il pallone tra i piedi, tu glielo devi togliere. Vai e lo affronti. Giusto, no?».

Beh, giusto... È un altro calcio...
«Ma è divertente, ve l'assicuro. Guardateci, vi divertiremo. Penso alla nostra sfida con il Brasile del 9 luglio. O, se ci capiterà, a una sfida con l'Argentina...».

Ma la vostra rivale per eccellenza non è l'Uruguay?
«Ma no, il calcio cambia, adesso siamo più ambiziosi. Il Brasile è più forte di noi, ha qualità, tecnica. Ma noi triplicheremo le forze, saremo compatti. Una squadra. Il Brasile non ha ancora vinto, ve l'assicuro. E con l'Argentina sarà ancora più esaltante...».

Più esaltante?
«Sì, gli argentini ti guardano sempre dall'alto. Sempre. Magari in campo è diverso, ma fin quando non cominci a giocare hai la sensazione che ti trattino da inferiore. Per questo noi ci esaltiamo quando dobbiamo giocare questa sfida».

Chi vincerà, Brasile o Argentina?
«Questa volta io credo l'Argentina. Gioca in casa, l'ambiente sarà decisivo nel motivare la squadra. E poi ha Leo Messi. Imprendibile».

Ma Messi in nazionale non ha mai brillato. Lei gli ha giocato contro?
«Certo che sì, e vi assicuro che uno tanto bravo non l'ho mai visto. Vi dico perché?».

Eh... ce lo vorrebbe nascondere?
«Perché Leo è imprendibile. Im-pren-di-bi-le. Mi spiego. Tu gli giochi contro e cerchi il contatto, contro qualsiasi avversario cerchi sempre il contatto fisico, di spalla intendo dire. Ma con Messi non lo trovi mai, perché lui è troppo veloce».

È un ragionamento strano. E commettere fallo?
«Nel calcio di oggi non è così facile, commettere fallo. Ne fai uno, due, poi arrivano i cartellini. E Messi è giustamente tutelato, perché è Messi. Se gli dai un calcio, il rischio è alto. Se lo strattoni, peggio».

Quindi vi resta solo il gioco di spalla?
«L'anticipo con lui è un problema, quindi cerchi il gioco di spalla. Ma lui passa rapido e tu ti appoggi all'aria. Ci è successo di affrontarlo in tre, ricordo che dovevamo chiudergli le vie dei rifornimenti, ma era impossibile. Troppo veloce. E a quella velocità fa cose incredibili».

Quindi vince lui.
«Vince l'Argentina, credo. Perché nel calcio moderno nessun giocatore vince da solo. A Barcellona Messi conta su Xavi, Iniesta, Busquet, Villa. Nell'Argentina ci sono tanti altri campioni. Ma lui è sicuramente più forte».

E il Brasile?
«Il Brasile gioca sempre per fare calcio e si ripeterà, ha giocatori che diventeranno eccezionali. Ma sono giovani, molto giovani. E pagherà l'ambiente che troverà in Argentina».

Ganso? Neymar?
«Ganso non lo conosco da avversario sul campo, sono curioso di vederlo. Neymar fatte le debite proporzioni lo vedo come Messi. È più leggero, ma pure lui ha una grande velocità e, soprattutto una grandissima personalità».

Per voi il Brasile è una rivale?
«Lo è, ma meno dell'Argentina. Perché dei brasiliani noi siamo differenti, questione di cultura. Loro sono la qualità, il talento. O c'è, o non c'è. O di qui, o di là. Noi siamo l'applicazione, la dedizione. Votandosi al sacrificio possiamo fare qualsiasi cosa».

La finale è scontata?
«È molto probabile. La terza squadra sulla carta è l'Uruguay. Credo che uno dei temi di questa Coppa America sia la convivenza tra Cavani, Suarez e Forlan. A Sudafrica 2010 non ci sono riusciti. Se la squadra li reggesse... Quei tre insieme fanno paura. Vorrei vederlo il derby del Rio della Plata, con l'Argentina...».

Un altro tema della Coppa America?
«Io oltre a Neymar e Ganso sono curioso di vedere Sanchez, il fuoriclasse cileno dell'Udinese, e soprattutto Mascherano, che per l'Argentina può diventare un giocatore decisivo».

E il Paraguay?
«Giocheremo senza paura, il girone lo passiamo, poi dipenderà dagli accoppiamenti».

Lei s'è guadagnato Sudafrica 2010 battendo l'Argentina e lasciandoci il piede. Ricorda quella frattura?
«Avrei preferito non vincere e non restare fuori per un anno...».

Avrebbe preferito non vincere?
«Beh, un anno fuori, la serie B... Io il fango di Portogruaro non me lo scordo più fin che vivo, ve l'assicuro...».

Non parliamo di Portogruaro, per favore. Questa è la Coppa America.
«Giusto. Sarà uno spettacolo».

Vincerla sarebbe la sua più grande soddisfazione sportiva?
«Non lo so, sarà difficile riprovare le emozioni di Atene 2004. Io medaglia d'argento alle Olimpiadi, e in Grecia. Quelle tre settimane nel villaggio olimpico... Lì, a vivere il mondo...».

Pietro Serina

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