Morosini, parla il perito di parte
«Il defibrillarore era necessario»

«Non credo ci siano responsabilità da parte della medicina sportiva, ma resto dell'avviso che forse con un defibrillatore avrebbe avuto qualche chance in più di salvarsi». Così Cristina Basso, perito di parte della famiglia Piermario Morosini.

«Non credo ci siano responsabilità da parte della medicina sportiva, ma resto dell'avviso che forse con un defibrillatore avrebbe avuto qualche chance in più di salvarsi». Così Cristina Basso, perito di parte della famiglia Piermario Morosini, commenta la notizia che a stroncare la vita del centrocampista del Livorno sia stata una malattia genetica del muscolo cardiaco.

«Mi risulta che la malattia fosse agli inizi del suo percorso - spiega la dottoressa dell'Università di Padova - e che fosse molto difficile diagnosticarla. Il ragazzo poi non aveva dato nessun segnale di malattia, quindi la responsabilità della sua morte non credo sia di chi lo ha avuto in carico sanitario per anni. Ormai la scienza ha appurato che in un atleta questo tipo di malattia genetica aumenta i rischi di arresto cardiaco di cinque volte, perchè lo sforzo è uno stimolo in negativo. E non sappiamo neanche se nel caso di Morosini ci sia stata una mutazione genetica nel tempo o se sia stato portato sin dall'inizio di tale malattia».

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