Atalanta: «cappotto» al Napoli
Non è un regalo degli avversari

Parliamo di «cappotto» al Napoli. Ma sì dai ripetiamolo, ne vale proprio la pena. E non si sostenga che si è trattato di un insperato regalo degli avversari di turno, sino a prova contraria terze forze della massima divisione, dietro a sua maestà Juventus e Roma.

Parliamo di «cappotto» al Napoli. Ma sì dai ripetiamolo, ne vale proprio la pena. E non si sostenga che si è trattato di un insperato regalo degli avversari di turno, sino a prova contraria terze forze della massima divisione, dietro a sua maestà Juventus e Roma.

Il passivo di tre gol è lì da vedere. In atri termini i nerazzurri non si sono giudicati la roboante posta in palio in virtù di un rigore inventato o di un gol, figlio, di una conclusione fortunata o di una autorete. Ma al di là della tripletta nello spazio di venticinque minuti, maturata al rientro dall’intervallo, è stata l’Atalanta a imporre il gioco ai pur favoriti ma spaesati partenopei. Insomma, un’Atalanta che per gli interi 90’ più recupero ha giostrato al meglio sotto il duplice aspetto tecnico-agonistico.

Se, poi, Stefano Colantuono ci mette del suo sulla scelta di titolari e cambi in corsa e tatticamente non commette un errore che è uno perché mai ci si sorprende sul risultato e punteggio finali? Da brindare e in abbondanza, inoltre, occorre farlo per German Denis, tornato nelle vesti di bomber, due volte, in rapida successione. Sminuire l’uno-due del Tanque attribuendo responsabilità eccessive al portiere e alla difesa partenopea?

Ma no a meno che si voglia cercare il classico pelo nell’uovo a tutti i costi. Accennare solo superficialmente al discorso-salvezza si rischierebbe, addirittura, il ridicolo o giu di lì. Bastano, del resto, i dieci punti che ci separano dalla zona rossa a tappare la bocca anche ai più scettici. A noi sembra già di essere in ritardo ad alzare, in maniera decisa, l’asticella degli obiettivi di fine stagione. Un conto, e magari ci può stare, ricorrere alla scaramanzia altro è osservare attentamente la classifica: in tal caso mirare a traguardi sarebbe più realistico. O no?

Arturo Zambaldo

© RIPRODUZIONE RISERVATA