Atalanta-Malines, noi che non c’eravamo
La passione di oggi, eredità di quel mito

«Io c’ero», oppure no? Negli ultimi giorni vi abbiamo proposto i ricordi di chi ha visto con i suoi occhi Atalanta-Malines, 30 anni fa. Ecco un «ricordo» particolare.

Un’intera città irrequieta e impaziente. Le auto in coda in viale Giulio Cesare. Quell’aria inconfondibile da impresa memorabile. Lo sguardo di Garlini, i passettini malefici verso il dischetto. Palla in rete. Lo stadio scoppia di gioia come mai prima di allora. Il braccio al cielo del numero 11 e la convinzione di avercela fatta. La finale lì, che ci guarda. Il palo di Fortunato. Poi il mancino irripetibile di Rutjes, Rutges, Rutgis o come diavolo si pronuncia. Emmers e le lacrime. Le braccia del Mondo che ruotano nell’aria perché sì, c’è ancora speranza. Il fischio finale, la delusione e gli applausi. La storia è stata comunque scritta.

Tutte bugie, invenzioni, pura fantasia di menti vivaci. Perché? Semplice: non c’eravamo. Quel 20 aprile 1988, Atalanta-Malines, più della metà dei tifosi che oggi urlano il nome del Papu Gomez e di Ilicic, non c’era. Non ancora nati, oppure troppo piccoli per averne memoria. Alcuni oggi hanno figli, altri non più i capelli, quasi tutti la consapevolezza che è finito il tempo delle ragazzate e la testa va messa a posto il prima possibile. Adulti fatti e finiti.

Eppure continuano a raccontare di quella semifinale di ritorno di Coppa delle Coppe, di Strömberg e di Fortunato, di Mondonico scatenato e del terribile risveglio il giorno dopo. Una panzana dietro l’altra. Roba che lo stadio avrebbe dovuto ospitare altre 50 mila persone oltre alle 40 mila delle quali stava già esplodendo. È difficile non essere scoperti da uno di quelli veri, da un tifoso che alla fine di quella partita ha pianto davvero. È ancora più difficile spiegare la natura di una balla a dir poco ridicola.

Forse perché Atalanta-Malines è una partita troppo importante per non averla vista, anzi vissuta. Segna il passaggio dalla piccola Atalanta, su e giù dalla serie B, al sogno europeo tramandato dai padri (e madri: sì, c’erano e tifavano a squarciagola anche loro) ai figli. Da lì in poi la squadra nerazzurra non è stata più la stessa. E i racconti di chi sedeva sugli spalti ne sono la testimonianza più viva.

Malines è un parola che appartiene alla mitologia, patrimonio immateriale collettivo su cui si fonda la passionaccia nerazzurra. Se ancora oggi migliaia di persone interrompono qualsiasi cosa per andare all’Atalanta, ora di nuovo in versione europea (e speriamo anche in futuro), lo dobbiamo a quella malinconica serata del 20 aprile 1988.

Quindi perdonateci. Abbiamo mentito in buona fede. In fondo, non abbiamo mai visto una partita più emozionante di questa, che non abbiamo visto.

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