Atalanta, morto Dino Da Costa
Fu nel team che vinse la Coppa Italia

Un altro pezzo di Atalanta indimenticabile si è staccato per volare lassù. Martedì ci ha salutato per sempre Dino Da Costa, modernissimo centravanti brasiliano, una carriera sfolgorante in patria col Botafogo, prima dell’approdo in Italia nelle file della Roma, che lo sta ricordando con affetto incredibile, pur a distanza di tempo.

Dino aveva compiuto 89 anni e viveva vicino allo stadio di Verona, dove si era ormai stabilito dopo aver giocato coi gialloblù a fine carriera ed aver allenato nel settore giovanile per nove stagioni. Da Costa arriva all’Atalanta dalla Roma, per 45 milioni, nel novembre 1961. È nato a Rio de Janeiro, ma utilizzabile perché ormai italianizzato. Gioca centravanti a modo suo, si sposta, crea varchi, sa tornare indietro per poi inserirsi con disinvoltura. E, particolare che non guasta, è dotato di una buona castagna. Nella Roma ha militato per cinque stagioni, segnando 71 reti, cifra che lo pone all’ottavo posto nella classifica dei marcatori giallorossi dopo altri bomber notevoli. Detiene, a tutt’ oggi, il record assoluto dei gol segnati nel derby capitolino con 12 bersagli, di cui 9 in campionato (il record è del Pupone con 11 reti), 2 in Coppa Italia e 1 in una stracittadina valida per la Coppa Zenobi nel ’55.

Un tredicesimo gol, segnato in un Lazio-Roma 0-1 del ’60, venne considerato autorete del laziale Franco Janich. E che un gol sia contestato tra Dino e Franco, che era all’Atalanta solo tre anni prima di lui, converrete che è proprio una bella storia. Nel primo campionato Da Costa deve vedersela con una concorrenza agguerrita (Magistrelli, Nova, Olivieri e Maschio), e farà un po’ di fatica ad inserirsi anche se noi, con rimpianto e commozione, ricordiamo un Atalanta-Udinese 2-1 con reti di Da Costa e Mino Favini. Ma l’anno seguente collezionerà 33 presenze, mettendo a segno 12 reti e, soprattutto, trascinerà l’Atalanta fino alla finale di Coppa Italia. Sua la prima marcatura (dopo 2 minuti) nella partita Como-Atalanta che finirà 2 a 2 e avrà poi la soluzione nei tempi supplementari con gol di Domenghini e Nova. Decisivo anche nei quarti dove, con il Padova, segna il primo gol, imitato da Calvanese per il 2 a 0 finale.

Soprattutto determinante nella semifinale col Bari, partita indimenticabile nella quale i nerazzurri non riuscivano a trovare il giusto pertugio, fino ad un attacco tambureggiante concluso in rete proprio dal brasiliano. Questo consentì di arrivare alla finale di San Siro col Torino, partita in cui Tabanelli escluse Da Costa per scelta tecnica, preferendo schierare contemporaneamente sia Nielsen che Veneri per una formazione più abbottonata. Pierluigi Pizzaballa ricorda bene tutto: «A Milano il nostro allenatore fece una scelta che si rivelò vincente. Ma Da Costa il suo contributo lo offrì in maniera preziosa, per quella conquista finale, su questo non c’è dubbio. Era un centravanti moderno, abile nelle conclusioni, ma anche nella manovra e non era un gran conversatore.

Parlava poco e lo faceva ancora con la sua cadenza brasiliana, dopo tanti anni di permanenza in Italia. All’epoca, quando si passava sul Sentierone, all’altezza del Balzer, all’ora dell’aperitivo, c’erano i soliti: Colombo, Olivieri e, immancabile, Da Costa. Beveva sempre volentieri, ma era un po’ restìo ad offrire. L’ho incontrato nel 2015, per il trentennale dello scudetto a Verona, in una serata alla Gran Guardia davvero memorabile. Era in grande forma e la sua scomparsa mi addolora perché adesso siamo rimasti davvero in pochi». Da Costa lascerà l’Atalanta tra il rimpianto dei tifosi, avendo segnato 31 reti in 68 partite tra campionato e coppe. Rinforzerà la Juventus di Heriberto, Anzolin e Leoncini, portando via il posto a Sivori. Giancarlo Savoia (il libero che divise la critica ai tempi di Scirea) lo ricorda con parole di affetto. Adesso Dino sarà su a spiegarsi con Janich sulla faccenda di quell’autorete.

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