Il Papa visita l’orrore di Auschwitz
«Signore, abbi pietà del tuo popolo»

Ad Auschwitz la mano sul Muro della morte, il bacio su uno dei pali delle impiccagioni e la preghiere nella Piazza dell’Appello e nella cella dove è morto di fame Massimiliano Kolbe. E poi le mani strette e gli abbracci caldi con dieci sopravvissuti della Shoa.

A Birkenau il procedere lungo la fila delle 23 lapidi nelle lingue delle vittime, sostando di tanto in tanto, fino all’ultima, vicino alla quale depone una lampada. E poi - prima di salutare 25 giusti delle nazioni - in raccoglimento mentre il rabbino capo della Polonia, Michael Schudrich, intona il salmo «Dal profondo grido a te Signore», subito dopo letto in polacco dal parroco di Markowa.

Come aveva annunciato, Papa Francesco ha scelto il silenzio nella sua visita a Auschwitz-Birkenau, la terza di un papa, dopo quelle di Wojtyla nel 1979 e di Ratzinger nel 2006. Chi visita Auschwitz, il più grande dei lager in cui i nazisti hanno sterminato milioni di persone, con l’obiettivo di eliminare l’intero popolo ebraico, viene colpito in particolare dai poveri resti raccolti e esposti per non dimenticare: i capelli, unico residuo dei corpi, e gli oggetti quotidiani dei deportati. A Birkenau a colpire come uno schiaffo sono i resti delle ciminiere, e la pianta del crematorio, un complesso organizzato tra spogliatoi, camera a gas, luogo per eliminare i documenti delle vittime, archivio.

E quelle pietre ai piedi delle quali papa Francesco ha sostato e pregato, con la scritta: «Per sempre lasciate che questo posto sia un grido di disperazione e un avvertimento per l’umanità, dove i nazisti uccisero circa 1,5 milioni di uomini, donne e bambini, per lo più ebrei, provenienti da vari paesi d’Europa. Auschwitz-Birkenau 1940-1945».

È parso a Papa Francesco che non servisse ripetere parole di angoscia, sgomento e condanna, come quelle pronunciate da Giovanni Paolo II e dal suo successore tedesco, Benedetto XVI, e che fosse preferibile pregare e tacere davanti all’orrore. Sicché le uniche parole di questa sua visita resteranno quelle che ha scritto sul libro d’oro di Auschwitz, «Signore abbi pietà del tuo popolo, Signore, perdona tanta crudeltà». Né sappiamo se sia stato esaudito il suo desiderio di ricevere nella preghiera «il dono del pianto», forse nella decina di minuti che ha passato nella cella dove morì Kolbe, condannato a morte 75 anni fa ad oggi, per essersi offerto in cambio di un padre di famiglia destinato alla morte dai nazisti.

Nel silenzio è più facile immaginare i volti di milioni di uomini, donne, bambini, inghiottiti incolpevoli nell’abisso della follia e del male, vivere il rimpianto delle loro vite perdute, piombare nella disperazione per tanta disumana follia, chiedere - come hanno fatto in tanti, papi compresi - a Dio dove fosse, e agli uomini dove fossero, quando si compiva l’Olocausto.

Il silenzio è stato rotto dal salmo, intonato in ebraico in tono a tratti duro e angosciato, e ripetuto in lingua polacca dal parroco di Markowa, il paese di Jozef e Wiktoria Ulma trucidati dai nazisti insieme ai loro 7 figli, perché avevano accolto e nascosto Saul Goldman con i suoi 4 figli, due figlie e una nipote. Come mostrano anche le storie dei sopravvissuti, gli Ulma sono tra i tanti che rischiarono la vita, e la persero, per aiutare chi chiedeva loro rifugio e pietà, gente semplice che seppe provare misericordia.

Giovanna Chirri

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