La tragedia di Morosini 4 anni fa
Ora si può dire che non è morto invano

Sono trascorsi esattamente quattro anni dalla morte di Piermario Morosini, il giocatore bergamasco, di Monterosso, e cresciuto nell’Atalanta che il 14 aprile 2012 si accasciò improvvisamente in campo a Pescara dove il suo Livorno stava giocando per il campionato di serie B e non si riprese più. Una tragedia che scosse il mondo del calcio e che non è stata dimenticata.

A stroncarlo una miocardiopatia aritmogena al ventricolo sinistro, molto difficile da diagnosticare. Quattro anni dopo, anche se il ricordo di quel ragazzo semplice segnato da un destino crudele, perché i genitori Aldo e Camilla erano morti presto, il fratello Francesco era rimasto vittima di un tragico gesto e la sorella Maria Carla è gravemente disabile, resta struggente e ci si domanda ancora se Piermario, allora 25enne, poteva essere salvato, possiamo perlomeno dire che Morosini non è morto invano perché il suo caso ha contribuito a far approfondire lo studio su patologie che prima erano quasi sconosciute.

Proprio tra qualche giorno sarà inaugurato a Milano il primo centro avanzato di cardiologia dello sport , c’è una borsa di studio intitolata a suo nome e, sulla scia di quanto successo, numerosi campi e palestre si sono dotati del defibrillatore, strumento che può salvare la vita in determinati casi quando c’è un problema cardiaco.

La storia di Piermario è stata raccontata in un libro: non è un’autobiografia ma il racconto di una vita e anche di un rapporto, quello tra Morosini e Beppe Vailati, l’autore. «Mario, gioca semplice!» è il titolo delle centoquarantaquattro pagine (edizioni San Paolo, 12,50 euro, in vendita in libreria dai prossimi giorni) scritte da Vailati, che era nato un anno prima di Piermario e viveva a Monterosso, cullando lo stesso grande sogno di diventare calciatore: lui si sarebbe fermato alle giovanili dell’Alzano Virescit, imboccando poi altre strade, ma tenendo nel cuore il ricordo del vecchio amico con il quale aveva incrociato mille volte i tacchetti, da compagno oppure da avversario, spesso sullo stesso, stropicciato, campo.

Per questo, il sottotitolo è, semplicemente, «Io e Piermario Morosini»: il protagonista viene dipinto per quello che era, il ragazzo semplice che nulla c’entrava con lo stereotipo del calciatore ricco e famoso, magari pluritatuato e con la puzza sotto il naso. Un ragazzo la cui vita era stata segnata dai drammi: fardelli duri da sopportare per una sola persona, inevitabilmente attanagliata da inquietudini e dubbi, condivisi anche con l’autore del libro, che poi non è altro che quel volto familiare di un tempo, nel frattempo entrato in seminario (strada successivamente abbandonata).

«Non si tratta di una biografia, quanto semmai di un’autobiografia: nel libro è raccontata la mia storia e il filo conduttore è ciò che ruota intorno a Piermario - spiega l’autore, che presenterà il libro giovedì 21 alle 20.45 al cineteatro dell’oratorio di Trescore -. Da ragazzo mi trovavo spesso a confrontare la mia vita con la sua: coetanei, stesso ambiente, stesso sogno del calcio. Diciamo che io ero un po’ il suo alter ego, ma lui era quello uscito meglio: era un calciatore migliore ed era un bravo ragazzo».

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