Un anno fa moriva Felice Gimondi
Il ricordo di un campione indimenticabile

Dodici mesi fa la scomparsa del grande Gimondi. Un fuoriclasse del pedale capace di andare dritto al cuore della gente. Sceso di sella, un autorevole punto di riferimento sempre al passo con l’evoluzione dello sport.

Ci sono momenti ed eventi nella vita che ti fanno dire che niente sarà più come prima. Vale anche nello sport, ovviamente. La tragedia di Superga, le morti di Coppi e Pantani, per esempio: il vuoto che avevano lasciato il Grande Torino, il Campionissimo e il Pirata era stato tale da far comprendere al mondo che il calcio e il ciclismo non sarebbero più stati gli stessi. Il Grande Torino era sul tetto del mondo, Coppi e Pantani, sia pure in pieno declino agonistico, erano ancora in attività.

Felice Gimondi non era più in attività da diversi decenni, eppure la sua scomparsa, avvenuta il 16 agosto 2019 a causa di un cedimento cardiaco sulla spiaggia di Taormina, dove si trovava in vacanza con la dolce Tiziana, oltre a lasciare un dolore inconsolabile, ha privato il mondo del più autorevole trait-d’union fra due epoche diverse del ciclismo: quella dell’uomo solo al comando, capace di ascoltare le sensazioni che gli mandava il suo corpo, e quella dell’atleta condizionato, addirittura teleguidato dalla tecnologia. Gimondi, a più di 40 anni dal suo addio alle corse, era rimasto un interlocutore insostituibile di noi addetti ai lavori, per la sua capacità di rimanere moderno, di interpretare i cambiamenti. A differenza di altri campioni del passato, era sempre rimasto presente nel ciclismo, uno sport che aveva amato profondamente sin da quando, ancora ragazzo, ascoltava in religioso silenzio, nelle serate primaverili ed estive sul sagrato della chiesa di Sedrina, le animate discussioni di quelli più grandi di lui sulle tappe, da poco concluse, del Giro d’Italia e del Tour de France. E aveva continuato ad amare il ciclismo sino all’ultimo. Lo amava con lo spirito e la passione, prima ancora che per gli incarichi di prestigio che aveva ricoperto una volta attaccata la bicicletta al chiodo.

Oggi, a un anno da quel triste pomeriggio di agosto, Felice ci manca ogni giorno di più. Ci mancano i suoi pareri, i suoi consigli, le sue opinioni, ci mancano anche le frustate che, se necessario, assestava al suo mondo quando trovava qualcosa che non andava. Senza remore, senza peli sulla lingua, da uomo libero, senza macchia, autorevole e se era il caso anche autoritario. Quante volte, in quest’ultimo anno, in presenza di un fatto nuovo, abbiamo dovuto sopprimere l’istinto, quasi automatico, di alzare la cornetta del telefono: sentiamo un po’ cosa ne pensa Gimondi. Ve lo confidiamo con un pizzico di pudore: ci sembra impossibile occuparci di un argomento e non farlo confrontandoci con lui, sia che si tratti di una norma regolamentare, sia che si tratti del giudizio su una corsa, sia che si tratti di avere un parere – e che parere! – su un giovane campione che si affaccia alla ribalta.

Ci manca, insomma, ci manca terribilmente il vecchio amico, quasi coetaneo, per il quale in gioventù avevamo fatto un tifo sviscerato. La sua vittoria al Tour del ‘65, lo aveva issato sul tetto del mondo e lì ci era rimasto per tanti anni ancora, nonostante l’ingombrante presenza del Cannibale Merckx, famelico predatore di quella felice, irripetibile epoca ciclistica. Le loro sfide hanno incendiato la passione degli sportivi, portandola a vertici paragonabili all’epopea di Coppi e Bartali e mai più toccati nei decenni successivi.

In quest’ultimo anno la tristezza di noi, inconsolabili «Senzagimondi» è stata soltanto parzialmente lenita dalle tante iniziative che un po’ dappertutto hanno tenuto accesa la memoria dell’amato Felice: libri, manifestazioni, cerimonie. L’ultima una settimana fa, il giorno della Milano-Sanremo, con la posa a Capo Berta, in Liguria, di una scultura bronzea accanto a quelle già esistenti di Binda, Bartali e Coppi.

A tenere alimentata la fiamma del ricordo è, in modo particolare, la figlia Norma, che dal giorno della morte di papà ha deciso di rappresentarne la memoria ovunque ci sia qualcuno se ne mostri seriamente interessato. «In tutti questi mesi – ha più volte dichiarato Norma Gimondi – mi sono resa conto, ammesso che ce ne fosse bisogno, di quanto fosse amato papà. E di quanto sia amato ancor oggi. Vedo tanta commozione sui volti delle persone che mi capita di incontrare nelle varie cerimonie: anche persone che, per ragioni anagrafiche, non possono averne un ricordo diretto». Segno evidente che Felice ha lasciato nel mondo una traccia destinata a perpetuarsi nel tempo. Lui, straordinario figlio della terra bergamasca: lasciatecelo dire con orgoglio.

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