Addio all’ex atalantino Franco Janich
Campione e gran signore nella vita

Ottantadue anni, da qualche mese lottava contro una grave malattia. Nel ‘56 venne aggregato ai titolari dell’Atalanta e affidato alla «sorveglianza speciale» dell’esporto Gustavsson.

Avevo una decina d’anni quando cominciai ad ammirare Franco Janich dagli spalti del vecchio Comunale di viale Giulio Cesare. Era il ‘56 e Janich venne aggregato ai titolari dell’Atalanta e subito affidato alla «sorveglianza speciale» dell’esporto Gustavsson, svedese, difensore di classe sopraffina già a Bergamo da un paio di stagioni sportive. Ragazzotto di alta statura e di corporatura robusta, friulano, si inserì rapidamente nel reparto arretrato nerazzurro, tanto che un paio di anni dopo venne venduto alla titolata Lazio facendo saltare di gioia il cassiere dell’Atalanta, la cui sede era allora collocata nella centralissima piazza Vittorio Veneto. Dalla Lazio successivamente al Bologna, raccogliendo ovunque unanimità di consensi.

Una carriera che lo ha certificato con uno scudetto (Bologna), una Coppa Italia, sei presenze in Nazionale e due partecipazioni ai Mondiali del ‘62 e del ‘66. Attaccate al fatidico chiodo le scarpette coi tacchetti, rimase a lungo nel calcio nel ruolo di direttore sportivo. Anche in quella veste fu considerato tra i migliori in circolazione. Autentico signore per i modi di fare, brillava nel savoir faire e in diplomazia, oltre che per l’eleganza degli abiti indossati. A Bergamo, fuori dal campo, si era circondato dell’amicizia e della stima di un sacco di persone. Anche una volta lontano dalla nostra città ha mantenuto cordiali rapporti con il giornalista Elio Corbani: entrambi per telefono si scambiavano profonde considerazioni sulle vicende footbaliere. Particolare piuttosto raro per un difensore: non era mai stato espulso dal manto erboso. Da qualche mese lottava contro una grave malattia: era nato il 27 marzo 1937.

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