«Attenti ai focolai in casa
Bimbi lontani dai nonni»

Al Papa Giovanni già 30 piccoli pazienti arrivati per altre patologie e risultati positivi. D’Antiga: senza problemi ma veicoli del virus.

«Si dovrà essere molto cauti nelle prossime fasi dell’epidemia: ma soprattutto si dovranno scongiurare in ogni modo i focolai domestici che abbiamo visto sviluppare, anche in modo drammatico, in queste settimane. E per farlo, sembra crudele ma è così, i bambini devono stare lontano dai nonni. Perché? Stiamo seguendo l’andamento dell’epidemia nella popolazione pediatrica: i piccoli se contagiati non sviluppano una malattia grave, anzi spesso sono asintomatici e pertanto degli inconsapevoli veicoli del virus». Lorenzo D’Antiga, direttore della Pediatria all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, snocciola dati e pubblicazioni, e racconta come, all'interno del suo ospedale, che anche per la Pediatria sono stati attivati percorsi separati per i bambini positivi al Covid sin dal pronto soccorso, ora si stia studiando l’andamento dei sintomi e il comportamento del virus nella fascia di popolazione più giovane.

«Dall’inizio dell'epidemia ad oggi al Papa Giovanni abbiamo avuto circa 30 pazienti di età pediatrica risultati positivi al coronavirus: quasi tutti sono arrivati qui per altri motivi e sono stati trovati portatori dell’infezione. E la loro positività l’abbiamo scoperta qui: nella nostra Pediatria se un paziente necessita di un ricovero viene sottoposto al tampone, assieme anche al genitore in modo che vengano riconosciuti i portatori asintomatici. Oggi abbiamo ancora 5 bambini ricoverati, ma il motivo principale del ricovero è per altre patologie. Quello che voglio rimarcare è che nessuno di questi bambini ha avuto quei problemi che si vedono negli adulti con il Covid-19. E soprattutto nessuno ha manifestato sintomi respiratori rilevanti nonostante la positività al virus. Per questo sin dall’inizio dell’epidemia abbiamo riorganizzato tutto il reparto, definendo percorsi chiari e protocolli per gli ingressi dei bambini in pronto soccorso e in ospedale».

Nel dettaglio, si è prima riorganizzato il pronto soccorso pediatrico: i bambini che presentano fattori di rischio di infezione vengono tenuti rigorosamente separati dagli altri, e sottoposti a tampone in osservazione. Se il risultato è positivo, vengono ricoverati in un’area predisposta appositamente, che è stata chiamata PediaCovid.

«Con la chiusura degli ambulatori, esclusi però quelli per i bimbi trapiantati e per gli oncologici che hanno continuato a funzionare sempre, abbiamo provveduto a riorganizzare il personale, così si è riusciti a permettere che una parte di medici e infermieri potesse operare nelle aree Covid non pediatriche, dando una mano quindi ai colleghi impegnati in prima linea – illustra D’Antiga – . L’aver creato un’area PediaCovid ci ha consentito anche di studiare i casi dei bambini positivi ricoverati per altre patologie, una osservazione clinica e scientifica che stiamo mettendo a disposizione di colleghi di tutto il mondo, così come il nostro protocollo di riorganizzazione dell’accesso dei bambini in ospedale è diventato un’esperienza da trasmettere ed è stato pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Pediatrics».

Gli accessi al pronto soccorso pediatrico, nel frattempo, si sono molto ridotti: si è passati dagli 80 al giorno alla decina al giorno. «Oltre a dimostrare che in tempi normali molti degli accessi pediatrici sono evitabili, il calo ci ha fatto concentrare meglio sui casi urgenti che arrivavano in ospedale: e tutti erano legati ad altre patologie, ma sottoposti a tampone alcuni risultavano positivi al Covid – spiega il direttore di Pediatria 1– . Anche nel caso di bambini immunodepressi o oncologici, il contagio non è una condizione aggravante della loro patologia. I trapianti pediatrici quindi non sono stati sospesi: ne abbiamo avuti 3 di fegato e uno di polmone pediatrico, e i bimbi stanno bene. Questa “resistenza” al virus è certamente da studiare: sul Covid come condizione non aggravante nell’immunodepressione abbiamo pubblicato uno studio sulla rivista scientifica Liver transplantation. Dalla nostra esperienza diretta e da osservazioni precedenti emerge che è un errore interrompere le cure oncologiche, in quanto anche questi pazienti non hanno rischi aumentati se si infettano durante la chiemioterapia».

Ora, con il lieve calo dei contagi si sta iniziando a pensare a una fase 2 per affrontare l’epidemia. «E dalle nostre osservazioni su positività ed età pediatrica credo si debbano aprire riflessioni, e anche esaminare spunti organizzativi: se si pensa a un progressivo ritorno all'attività produttiva molti bambini non potranno essere più accuditi in casa dai genitori tornati al lavoro. E certamente sarebbe rischioso far avvicinare i bimbi ai nonni. Piuttosto, si dovrebbe pensare a una riorganizzazione sociale: se non riaprono le scuole, i ragazzi, gli adolescenti, costituzionalmente più resistenti al virus degli adulti, potrebbero diventare fornitori di assistenza alle famiglie, per lavori di babysitteraggio o aiuti anche agli anziani soli. Un’idea che potrebbe essere organizzata in modo strutturato, anche per dare una chance alle nuove generazioni, almeno fino a che non divenga disponibile un vaccino».

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