Bossetti, conclusa l’udienza fiume
La requisitoria proseguirà il 18 - Video

Si è conclusa alle 19 la prima parte della requisitoria del pm Letizia Ruggeri nel processo a carico di Massimo Bossetti. Il magistrato aveva iniziato il suo intervento alle 9,50. Il muratore era in aula, davanti a lei, accusato della morte di Yara Gambirasio.

Lunghe file nella mattinata per entrare in Tribunale a Bergamo: ci sono gli irriducibili, chi non si è perso neppure un’udienza. Massimo Bossetti ha lei di fronte: Letizia Ruggeri e la sua requisitoria che, si aspettano tutti, si concluderà probabilmente con l’invocazione della pena massima. Prima della pausa pranzo il pubblico ministero ha parlato a lungo del dna, concentrandosi sui prelievi fatti durante l’indagine per risalire al colpevole dell’omicidio. Sempre a proposito del dna, il pm Ruggeri ha detto che il fatto che non si sia potuto stabilire con certezza se la traccia da cui fu estratto fosse sangue non «inficia il risultato identificativo». Il pm ha finito di spiegare come si è arrivati al Dna di «Ignoto 1», che successive indagini stabiliranno essere di Massimo Bossetti. Letizia Ruggeri ha poi citato due sentenze, una del 2004 e un’altra del 2013, in cui il dna assumerebbe valenza di prova se ripetuto più volte. Per i legali dell’imputato, Camporini e Salvagni, le due sentenze sostengono esattamente il contrario.

Il pm, cominciando la sua requisitoria (con sè ha 150 pagine di appunti), ha detto che, nelle fasi iniziali dell’inchiesta, con gli investigatori «ci spaccammo la testa» per cercare di capire le ragioni della scomparsa della tredicenne. «Ipotizzammo di tutto, dallo scambio di persona al rapimento - ha detto il magistrato - e questo lo dico perchè fummo costretti ad andare a vedere il vissuto di questa ragazza. Emerse che era una ragazza normalissima, senza alcun segreto».

Di fronte a lei Massimo Bossetti, con una felpa viola, abbronzatissimo, che ascolta quanto il pm sta spiegando. Lo sguardo è più spento del solito, meno diretto delle ultime udienze. Letizia Ruggeri ha elencato i capi di imputazione, specificando oltre al reato di omicidio, la calunnia e le due circostanze aggravanti: la cosiddetta minorata difesa (per aver «approfittato di circostanze di tempo e di luogo – un campo isolato – di tempo – in ore serali/notturne – e di persona – un uomo adulto contro un’adolescente di 13 anni – tali da ostacolare la difesa») e, la seconda, l’aver «adoperato sevizie e aver agito con crudeltà». Quest’ultima è un’aggravante che consente di invocare la pena dell’ergastolo.

Richiesta di ergastolo che arriverà dopo quasi cinque anni di indagini e uno di processo. Tutto iniziò quell’ormai lontano venerdì 26 novembre 2010, quando era il magistrato di turno per i casi urgenti e ricevette la chiamata dei carabinieri di Ponte San Pietro: «È scomparsa una ragazzina, si chiama Yara Gambirasio».

Proprio il pm ha ripercorso in aula venerdì mattina tutte le fasi: dalla scomparsa alle ricerche, fino al ritrovamento del cadavere. E proprio sul corpo di Yara si è soffermata, specificando la tipologia di lesioni rinvenute, le armi che si suppone siano state usate e l’agonia a cui è stata sottoposta la ragazzina. Dettagli che il pm ha voluto specificare, parlando di morte per «ipotermia e lesioni», proprio per sottolineare come «chi ha ucciso Yara Gambirasio si è accanito». Il magistrato lo ha ricordato per spiegare perché al muratore di Mapello è contestata anche l’aggravante delle sevizie e crudeltà.

Yara Gambirasio non morì infatti nelle fasi immediatamente successive all’aggressione ma nelle ore successive anche se stabilire la durata della sua agonia non è stato possibile. La tredicenne - ha ricordato il pm di Bergamo, Letizia Ruggeri - morì per una concausa delle lesioni subite e per il freddo. «Avrà provato paura e dolore», ha aggiunto il magistrato che ha ricostruito minuziosamente tutti i passaggi dell’ indagine.

Il magistrato ha continuato: «Sulla tredicenne Yara Gambirasio, incapace di difendersi perché tramortita con un corpo contundente, furono inferte delle ferite, non mortali, e che sembra avessero lo scopo di infierire sulla ragazza».

Il pm Letizia Ruggeri ha poi spiegato nel dettaglio il procedimento grazie al quale si è arrivati all’identificazione del muratore con il presunto omicida ed ha sottolineato come questo modo di procedere «sgombera il campo dall’idea di voler trovare a tutti i costi un colpevole». «La bontà di questo percorso scientifico - ha detto il pm - è data dal fatto che il match (confronto) del dna è stato fatto ad un uomo nato e cresciuto in queste zone, che lavora nell’edilizia, nato a Clusone, che ha avuto la residenza a Brembate con lavori sempre svolti in zona. Si è partiti da un dna che non si conosceva, abbiamo fatto dei riscontri. Se non avessimo avuto il dna questo soggetto non sarebbe mai stato trovato. Non sapevamo chi fosse, non era un sospettato, il suo dna non è mai stato raccolto».

Secondo il pm, che proseguirà la sua requisitoria il prossimo 18 maggio, inoltre, «non vi sono spazi di discussione per quanto riguarda la validità del lavoro scientifico svolto dal Ris e dai consulenti».

Colpevolezza o innocenza di Bossetti si giocheranno su elementi ormai noti e dibattuti, riassumibili grosso modo in sette punti. Il Dna trovato su slip e leggings della vittima. L’aggancio delle celle telefoniche che collocano l’indagato nella zona della sparizione di Yara. Le telecamere che – secondo gli inquirenti – riprendono il suo furgone attorno al centro sportivo. Le fibre (e particelle ferrose) trovate sui vestiti della vittima, per i Ris compatibili con il materiale dei sedili del furgone. La testimonianza di una donna di Trescore che sostiene di aver visto Bossetti nell’estate precedente al delitto in auto, in compagnia di una ragazzina. La perizia sui computer dell’indagato, da cui emergono ricerche con parole chiave come «ragazzine» accostate a contenuti hard. E infine le intercettazioni, in particolare quelle ambientali dei colloqui in carcere fra Bossetti e la moglie, Marita Comi. In questi incontri la donna sembra a tratti nutrire dubbi sul marito e lo incalza: «Non ho mai saputo cosa hai fatto quella sera...».

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