«Coraggio e fatica, così si sfida la crisi»
Ecco chi si è reinventato nella pandemia

Il negozio Cicli Mora, a Dalmine: «Svuotato il magazzino». Luca, cuoco: 120 pasti al giorno a domicilio. Alberto da pubblicitario a coltivatore di aglio, andato a ruba. Laura, libraia: meglio del 2019. Corrado: ho aperto il mio primo negozio.

Storie dal fronte, l’altro. Quello di chi resiste. In mezzo a una vasta platea di imprenditori, produttori e commercianti messi in ginocchio dalla crisi, qualche barlume di speranza c’è. E viene da chi - in questi mesi di crisi economica, piombata su Bergamo come sul resto d’Italia trascinata da quella sanitaria - è andato controcorrente.

Reinventandosi, investendo, buttandosi su mercati nuovi. Alberto Baioni, 31 anni di Arzago d’Adda, una laurea in Scienze politiche. A dicembre 2019 (ante Covid) si licenzia, abbandona il posto fisso come pubblicitario in un’azienda milanese per cambiare vita. E a marzo - mentre Bergamo diventa l’epicentro europeo della pandemia, con i negozi che chiudono e i ristoranti pure - inizia ad arare due ettari di terreno della cascina dove i suoi nonni hanno, per anni, allevato mucche da latte. «Era da tempo che pensavo di cambiare vita e raccogliere l’eredità dei miei nonni, ce l’avevo nel dna. Semplicemente, non mi sono fatto fermare dalla pandemia. Anzi, in un certo senso mi ha aiutato. Nell’immaginare come coltivare i campi che avevo a disposizione e che erano coltivati a mais ho pensato, almeno inizialmente, a quali fossero i prodotti più richiesti. Avrei potuto puntare sul mango, sull’avocado, su tutti quei frutti esotici così in voga. Ma se c’è una cosa che la pandemia ci ha insegnato è che stravolgere il nostro territorio fino quasi a snaturarlo ha un costo. E conseguenze molto serie. Così mi sono messo a studiare e fare ricerche per tornare alle origini della mia terra, la Bassa». Ricerche che l’hanno portato a riscoprire prodotti antichi: primi fra tutti patate, cipolle, aglio.

«Il primo raccolto è stato a giugno. E nonostante sia mancata tutta la fetta di mercato della ristorazione, ho venduto l’intera produzione di aglio e cipolle e sto terminando ora le patate, 200 quintali. È andata bene? Sì, molto. I clienti stanno tornando a puntare sulle produzioni locali, e anche le vendite attraverso piattaforme web mi hanno aiutato. Insomma, ho fatto un salto nel buio in piena crisi, ma il bilancio per ora è più che positivo».

Sempre per rimanere nel settore alimentazione, c’è chi ha dovuto ricalibrare la propria attività: lo spiega Luca Bonicelli, 46 anni di Villa d’Ogna, cuoco e titolare dell’attività di banqueting che porta il suo cognome: «A marzo la pandemia ci ha tagliato le gambe. Noi vivevamo sugli eventi, soprattutto aziendali, e gli eventi sono stati cancellati. Tutti. Ci siamo ritrovati in un attimo senza la nostra attività principale, con quattro dipendenti a cui garantire lo stipendio, e senza prospettive. Come abbiamo reagito? Reinventandoci: abbiamo puntato su pasti a domicilio in apposite box, soprattutto ad anziani, persone in quarantena, e ora anche dipendenti delle aziende che non possono trascorrere la pausa pranzo al ristorante. Facciamo circa 120 coperti al giorno. Soddisfatti? Sì. Soprattutt

o perché non abbiamo licenziato nessuno».

Da Villa d’Ogna le storie dell’altro fronte, quello di chi resiste, portano a Sarnico. Dove i tre soci dell’azienda di Bolgare Seddys hanno aperto il loro primo punto vendita. Serranda alzata il 4 dicembre 2020, nel pieno della seconda ondata. «Abbiamo rischiato – racconta Corrado Ferrari, 55 anni di Bolgare –. La nostra azienda esiste da cinque anni, abbiamo sempre customizzato prodotti conto terzi. Scarpe, abbigliamento, accessori. Ma era da tempo che volevamo aprire anche un punto vendita, e ci siamo lanciati. E nonostante tutte le restrizioni del periodo, non è andata affatto male. Anzi: si avvicinano a noi anche clienti aldilà del nostro target abituale, quello dei giovani. Siamo soddisfatti. Al punto che entro fine 2021 vorremmo aprire un altro paio di negozi».

E fra chi nel 2020 ha resistito c’è anche una piccola libreria di provincia. Di lago, anzi: «Sarà perché nel 2019 avevo appena aperto – racconta Daniela Scotti, 39 anni originaria di Trezzo sull’Adda, titolare de La libreria del lago di Sarnico – ma l’anno scorso, in piena pandemia, ho lavorato molto di più dei 12 mesi precedenti. Certo, mi sono data molto da fare per adeguarmi al periodo: ho trasferito sui canali social molte attività di promozione, consegnato libri e giocattoli a domicilio, li ho spediti a casa dei miei clienti senza spese di consegna. Ma il lavoro è stato enormemente premiato».

E poi, ci sarebbe un altro settore che durante la pandemia ha resistito. Anzi, ha «sbancato». Letteralmente. Il mercato delle biciclette. Mercato «pompato» dagli aiuti del Governo. «Abbiamo svuotato il magazzino, a luglio del 2020 non avevamo più una bicicletta da vendere, né tradizionali né a pedalata assistita – raccontano Annamaria e Giacomo Mora, titolari di Mora Cicli a Dalmine -. Mai vista una cosa così. C’è stata una vera e propria riscoperta del settore, che ha avvicinato al nostro negozio clienti che non erano affatto abituali. E non sono aumentate solo le vendite di mezzi, ma anche di accessori, così come le riparazioni. Segno che la pandemia ha ridato linfa all’intero mercato della mobilità sostenibile».

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