«Corretto il rifiuto del Quirinale»
Silvio Troilo: comportamento doveroso

Il «gran rifiuto» del Presidente della Repubblica rispetto al nome di Paolo Savona, proposto dal Presidente del Consiglio incaricato, Giuseppe Conte, per il ministero dell’Economia, ha scatenato le ire di M5S e Fratelli d’Italia, che hanno ipotizzato una proposta di messa in stato d’accusa del capo dello Stato.

Un’eventualità che secondo il docente di Diritto costituzionale all’Università di Bergamo, Silvio Troilo, non avrebbe però alcun fondamento.

Professor Troilo, secondo lei Sergio Mattarella ha agito nel rispetto della Costituzione?

«Sì, anche se va detto che tra gli studiosi di Diritto costituzionale non c’è un’unanimità di vedute circa i poteri del Presidente della Repubblica, riguardo alle proposte di nomina dei ministri. C’è chi ritiene che il Presidente possa rifiutare un nome proposto dal Presidente del Consiglio per gravi ragioni attinenti alla moralità del candidato o ai rischi che possono presentarsi nominandolo; secondo questa corrente di pensiero, Mattarella ha agito non solo correttamente, ma anche doverosamente. Ci sono altri che, data la stringatezza della norma costituzionale, ritengono che il Capo dello Stato debba accettare le proposte del premier, salvo che siano palesemente al di fuori dell’ordine costituzionale o della legalità».

Lei appartiene alla prima schiera.

«Sì e c’è da dire che i Presidenti della Repubblica hanno sempre segnalato ai premier la necessità di modificare delle proposte, solo che non c’è mai stata una resistenza di questo tipo. Il Presidente ha un ruolo di garanzia, che esercita se ritiene che ci siano gravi rischi in difesa dei valori e dei principi sanciti dalla Costituzione. E in questo caso Mattarella ha citato il rischio per il risparmio degli italiani, che è protetto dalla Costituzione».

Chi lo accusa avrebbe comunque un appiglio per farlo?

«No, ma per un altro motivo: il fatto che l’art. 92 della Costituzione possa essere interpretato in modi diversi, non significa che un’interpretazione diversa da quella più convincente rappresenti un reato gravissimo come l’attentato alla Costituzione o l’alto tradimento. E siamo fuori da questi casi estremi».

Nel caso di un’accusa formale, cosa succederebbe?

«La procedura prevede che debba essere formulato un capo d’accusa articolato, che dovrà essere vagliato da un comitato parlamentare. Solo se questo comitato ritenesse fondate le accuse, sottoporrebbe la proposta di messa in stato d’accusa del Presidente al Parlamento che, in seduta comune, dovrebbe deliberare a maggioranza assoluta con voto segreto. Dopodiché si dovrebbe svolgere un giudizio davanti alla Corte Costituzionale, integrata da altri 16 membri estratti a sorte da un elenco di 45 nomi. Il collegio deciderebbe a maggioranza, dopo aver svolto il processo, se il Presidente sia colpevole oppure no delle accuse mossegli».

Una procedura tortuosa che non si è mai vista in Italia.

«In passato sono state formulate delle accuse ai Presidenti da parte di parlamentari, ma il comitato ha sempre archiviato, ritenendo che fossero infondate».

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