Così Gabriele è rinato a Natale
Il trapianto, regalo inaspettato

«Vorrei con tutto il cuore trasformare questa sofferenza in qualcosa di utile, poiché temo che per Gabriele non ci sia più tempo. Scegliete di diventare donatori di organi».

Era la vigilia di Natale di due anni fa. Il piccolo Gabriele Parodi, undici mesi appena, affetto dalla nascita da atresia biliare, era ricoverato nella terapia intensiva pediatrica dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII e stava per morire. Da luglio attendeva il trapianto di fegato, ma l’organo giusto non arrivava. La sua mamma Lorenza Romano aveva scritto questo messaggio su Facebook con la forza della disperazione. In quelle parole c’era tutto ciò che le restava: il suo dolore. Era un appello «perché nessun altro, mai più, si trovi in questa situazione».

Gabriele era sedato, allo stremo delle forze: «Il suo sangue – racconta Lorenza, con emozione – non si coagulava più, c’erano state molte complicazioni, aveva un aspetto terribile. Suo padre gli aveva già detto addio, io non avevo avuto il coraggio».

Poi, però, ecco il regalo più grande, più inaspettato: «Un medico è venuto a parlarci. Temevo che fosse davvero la fine. E invece ci ha detto che c’era un organo disponibile». Era di un gruppo sanguigno diverso, una condizione particolare, ma con un’opportuna preparazione si poteva trapiantare lo stesso. A guardarlo adesso, così sorridente, con il cappello bianco e rosso di Babbo Natale sulla testa, sembra quasi incredibile: «Ora va all’asilo, qualche giorno fa ho assistito alla sua prima recita natalizia. È più delicato degli altri bambini, forse ha qualche difficoltà in più ma nel complesso sta bene, è pieno di vita ed è molto tenace».

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