Covid, Crisanti: «Sarà un autunno caldo. Dobbiamo scongiurare i contagi di rientro»

Abbiamo intervistato il docente di Microbiologia a Padova Andrea Crisanti: «mi preoccupa che si parli a vanvera, dicendo che il virus non c’è più».

l «suo» Veneto fa segnalare nuovi focolai di Covid, il governatore Zaia annuncia norme più restrittive per chi viola la quarantena e chiede a gran voce ricoveri coatti, come Tso, Trattamenti sanitari obbligatori (che si usano per la psichiatria), per i contagiati che non si fanno curare, e lui, che è considerato l’autore del «modello Veneto» per il controllo della diffusione del virus, non si dice stupito dei nuovi cluster. «È da aprile che sto dicendo che avremmo avuto nuovi focolai. Dobbiamo conviverci, e imparare a prevenirli e a controllarli. Ma finché si hanno comportamenti schizofrenici, la gente capisce solo che i controlli non servono più, perché il virus se n’è andato. E invece non è così», rimarca Andrea Crisanti, romano d’origine, professore ordinario di Microbiologia all’Università di Padova, già docente all’Imperial College di Londra e consulente tecnico della Regione Veneto nell’esplosione della pandemia (oggi i rapporti con Zaia sono più freddi), e di recente nominato consulente speciale dei pm di Bergamo nelle inchieste sulla mancata zona rossa e sull’ospedale di Alzano Lombardo.

Che dice dell’idea di Zaia: Tso per chi è positivo e non va in ospedale? I focolai non sono solo in Veneto, ma una decina in tutta Italia. Preoccupato?

«Due cose mi preoccupano : che si parli a vanvera e che non si facciano controlli su chi entra in Italia. Zaia prima di parlare di Tso dovrebbe pensare a quello che dicono i suoi più stretti consiglieri Palù e Rigoli (Giorgio Palù, virologo a Padova e Mario Rigoli, virologo a Treviso ndr), che sono tra i firmatari del documento in cui si afferma che il virus in pratica non non c’è più. La gente che si sente dire queste cose pensa che può fare quello che vuole. Ed è davvero preoccupante diffondere affermazioni del genere: il virus c’è, eccome, anche se qui la carica può essersi attenuata. Solo la scorsa settimana nel mondo ci sono stati 215 mila casi in 24 ore. Bisognerebbe pensare a una comunicazione seria, e dire la verità: siamo ancora in pandemia. Non si può pensare che l’Italia sia in una bolla, isolata dal resto del mondo, e poi si chiedono Tso, ma si fanno riaprire le discoteche. Tso? I ricoveri coatti da quel che mi risulta sono di competenza dei Comuni, non delle Regioni. Le normative in vigore prevedono già conseguenze penali e l’arresto per chi viola la quarantena o non si adegua alle misure necessarie a tutela della salute pubblica, se si mettono in pericolo gli altri anche il Tso mi sembra necessario».

Se con i nuovi focolai si deve convivere, come si deve agire per mantenere la situazione sotto controllo e spegnere i cluster?

«Regola prima: tutti devono rispettare le norme di distanziamento e di protezione individuale. Una volta individuato il focolaio, il solo metodo che funziona è ormai noto: isolare i positivi, testare tutti i contatti dei contagiati, familiari, amici, vicini, colleghi».

In Veneto l’imprenditore che ha poi diffuso il virus nel nuovo focolaio aveva fatto recenti viaggi all’estero.

«Appunto, non siamo in una bolla: i contagi di rientro vanno scongiurati. Ci sono luoghi del mondo dove la pandemia non è affatto in discesa, penso al Brasile, agli Stati Uniti, nuovi focolai sono in Israele, in Cina, in Australia. Gli ingressi degli stranieri o di chi rientra in Italia dall’estero, in particolare da zone a rischio, vanno monitorati, non basta prendere la temperatura. Verificare i piani di volo di chi rientra in Italia non è cosa complicata: non ripetiamo gli stessi errori fatti con i voli dalla Cina, se c’è uno scalo intermedio nel piano di volo lo si può e lo si deve sapere. E gli ingressi dai Paesi molto a rischio andrebbero monitorati: imporre la quarantena, l’utilizzo della app Immuni o anche il tampone all’ingresso non mi sembra cosa campata per aria. Il lockdown che ci ha aiutato ad abbassare i contagi ci è costato 150 miliardi di euro, mi sembra il minimo tutelare questo patrimonio. Oltre al primario interesse di limitare il più possibile l’insorgenza di nuovi focolai, anche in vista dell’autunno».

A proposito: come vede l’arrivo della prossima stagione?

«Non voglio parlare di ondate, ma visto come stanno andando le cose e visto che il virus sta circolando, non ho il minimo dubbio: sarà una stagione calda».

Siamo attrezzati?

«Io credo che si sia più preparati, adesso. Bisogna lavorare per attrezzare ospedali e rete territoriale, e soprattutto per intercettare tempestivamente nuovi casi e nuovi focolai».

A proposito di focolai, in queste ore sta destando clamore l’annuncio arrivato dal San Matteo di Pavia: in uno studio con Niguarda sono stati scoperti due ceppi differenti di Covid. Quello di Bergamo sarebbe diverso da quello di Cremona e Lodi.

«L’ho saputo. Non ho ancora informazioni approfondite, non posso commentare. Devo prima leggere lo studio, peraltro questa scoperta potrebbe avere connessioni sull’ambito delle mie competenze in qualità di consulente per i pm nelle indagini di Bergamo. E quindi parlare è inopportuno, decisamente».

Sempre da Pavia si afferma che un altro studio del San Matteo ha chiarito che il Covid girava in Italia già prima del cluster di Lodi. E anche ad Alzano si parla di polmoniti sospette a gennaio. Se lo si fosse saputo subito si potevano evitare morti?

«Ripeto, su Alzano e su Bergamo non parlo. Ma che il Covid fosse in Italia già da gennaio lo diciamo da tempo. I tamponi? La loro importanza è cruciale, ma credo ci siano state direttive sbagliate».

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