Davide, rinato dopo il coma
Dieci anni fa lo schianto. Ora la vita

Dieci anni dopo, c’è una bella storia da raccontare. Bella perché il lieto fine rende meno difficile ripensare ai giorni del dramma, trovando in ogni parola un messaggio di ottimismo.

Oggi Davide Nanna è un ragazzo qualunque, che conduce una vita normale, ha una fidanzata e gestisce un bar in centro a Bergamo: ma nel 2005 era stato dato praticamente per morto, a causa di un terribile incidente in moto, nella sua Molfetta. La forza rabbiosa e testarda del padre Michele l’ha accompagnato nei giorni bui e in quelli della rinascita. Oggi quella storia ai confini dello straordinario la possono raccontare insieme, seduti intorno a un tavolo dello 035 Caffè, il locale che hanno rilevato nel 2013, quando si sono trasferiti dalla Puglia a Bergamo.

Al lavoro Davide non sta fermo un secondo: troppo il lavoro da svolgere e pure la voglia di recuperare il tempo perduto in coma, o anche solo standosene seduto su una sedia a rotelle. La prima immagine del flashback è una notte d’estate, una moto violentemente investita da un’auto: Davide – quindici anni – è alla guida, un suo amico (che si rompe solo una gamba) dietro. Papà Michele viene convocato in ospedale senza sapere: tutti provano a tranquillizzarlo, lui capisce e rompe un vetro con una testata per raggiungere il figlio: «Lo vidi pieno di sangue: era in coma, mi dissero che sarebbe morto a breve».

Quella stessa notte il primo viaggio, un Molfetta-San Giovanni Rotondo dietro un’ambulanza che quasi tutti credevano non sarebbe arrivata a destinazione. Passano i giorni, cambiano gli ospedali (da San Giovanni Rotondo a Lecce a Tricase), non le prospettive: le complicazioni si susseguono, il pessimismo aleggia nelle parole di ogni medico, ma non nella testa di Michele. Che viene a scoprire che un professore austriaco che collabora con la clinica leccese lavora in una struttura all’avanguardia, l’Hochzirl di Innsbruck: Michele, che è separato, ottiene l’affidamento del figlio (la cui madre, inizialmente, non appoggiava l’idea austriaca) e a dicembre lo porta in Tirolo, arrivando addirittura a noleggiare un aereo attrezzato. D’altronde non si può badare a spese (che alla fine saranno enormi).

A marzo, circa nove mesi dopo l’incidente, Davide apre gli occhi, saluta il papà, scaccia i fantasmi. Non doveva nemmeno passare la prima notte, invece esce dal coma e, dopo quattro anni complessivi di cure e fisioterapie, torna ad essere un ragazzo normale: poi si trasferisce a Bergamo, dove inizia la sua nuova vita, con il bar e la fidanzata. «Tutto è diventato un ricordo lontano: quel periodo, per me, è come una vita parallela. Quando ero in coma, rispondevo a gesti solo quando parlava mio papà», spiega lui, sottolineando un rapporto quasi simbiotico.

Il padre, dieci anni dopo, sospira: «Mi dicevano che non c’erano possibilità, il peggioramento era continuo, ma ho lottato come un leone, forse come un pazzo. Non ho pensato alle spese, alle poche speranze, anche se mi davano del visionario. Era mio figlio e io, in cuore mio, sapevo che ce l’avrebbe fatta».

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