Diga del Vajont, 55 anni fa la tragedia
Impossibile dimenticare 2.000 morti

L’onda d’urto di 270 milioni di metri cubi di roccia: morirono circa 500 bambini. La tragedia e il ricordo del 9 ottobre del 1963: il celebre monologo di Marco Paolini e le testimonianze degli alpini bergamaschi.

Erano le 22.39 del 9 ottobre 1963 quando oltre 270 milioni di metri cubi di roccia precipitarono nel bacino sottostante sollevando tre onde colossali, che travolsero e uccisero quasi duemila persone. È la tragedia del Vajont. Due onde si schiantarono sulle pareti della vallata circostante. La terza strappò via la strada che coronava la diga e si scagliò a valle, verso Longarone. Un’onda d’urto che qualche contabile delle tragedie ha misurato di intensità paragonabile a quella della bomba atomica sganciata su Hiroshima. Il disastro rase al suolo varie e tranquille località di Erto e Casso, come la maggior parte di Longarone. Le genti che le abitavano scomparvero nel nulla, inghiottiti dai flutti e dalle macerie.

Erto e Casso, due nomi, un solo comune (del pordenonese), praticamente decimato dal disastro di cui oggi si commemoreranno 55 anni. Vajont: un fiume placido che si riversava in un lago voluto dalla Sade, bacino idroelettrico che s’insinuava lentamente nelle fondamenta del monte Toc. Guarda caso, «patoc», in friulano, significa marcio. A dare una mano ci fu tutta l’Italia: anche gli alpini bergamaschi di leva in quel periodo: ecco le loro testimonianze.

I residenti sostengono di non aver mai ricevuto l’attenzione che meritavano nonostante l’impegno di Mauro Corona e di Marco Paolini (pubblichiamo una piccola parte del suo monologo che ricostruisce gli attimi della tragedia) e gli sforzi di varie organizzazioni che hanno concertato una offerta turistica calibrata proprio su quella tragedia. Per diffondere un messaggio più che per trarne profitto.

Oggi sulla vicenda sono intervenuti il governatore del Veneto, Luca Zaia, leghista, e la parlamentare dem Debora Serracchiani. «Ci sono tragedie che non possono essere mai archiviate e una di queste è il Vajont: abbiamo il dovere di piangere le vittime ma soprattutto di tenere bene a mente le responsabilità», ha detto il presidente della Regione.

Precisando che «non fu una calamità» ma «una tragedia annunciata, temuta e negata fino all’ultimo anche da chi doveva controllare». Un «disastro ambientale e umano, che poteva essere evitato». «Fare memoria di quella tragedia significa - conclude Zaia - assumere la consapevolezza che l’interesse del territorio non può mai essere piegato a quello degli affari e che la salvaguardia delle persone e dell’ambiente è la prima responsabilità della “buona” amministrazione e della “buona” politica». In un tweet, Serracchiani ha ricordato che nella tragedia «persero la vita 2000 persone, tra cui 487 bambini e ragazzi sotto i 15 anni. Il Friuli Venezia Giulia non dimentica».

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