Gli effetti della pandemia sul lavoro
Bergamo, 3.703 aziende in crisi

Il dato peggiore nella nostra provincia è stato rilevato dall’Osservatorio Fim Cisl Lombardia sul settore metalmeccanico. Almeno 91.421 dipendenti coinvolti: rappresentano il 23,88% del totale.

Nel 1° semestre 2020 sono state colpite dalla crisi 18.673 aziende del settore metalmeccanico (+4664%, erano 392 nel semestre precedente) e 382.885 lavoratori (+2115%; erano 17.288 nel periodo precedente): la pandemia ha mutato in modo inimmaginabile i numeri e gli scenari dell’andamento del settore metalmeccanico in Lombardia. E Bergamo con 3.703 aziende e 91.421 dipendenti coinvolti e con il 23,88% dei dipendenti sul totale in crisi è il primo dei territori più colpiti. L’ennesima conferma dell’Annus horribilis per l’economia bergamasca arriva dalla divulgazione del rapporto semestrale che Fim Cisl Lombardia ha realizzato. Quest’anno ovviamente in ritardo, l’analisi dei metalmeccanici lombardi prende in considerazione il periodo più nero della pandemia che ha colpito la regione.

«Il primato bergamasco è purtroppo reale e innegabile – sottolinea amaramente Luca Nieri, segretario generale di Fim Cisl Bergamo –. In quel periodo si è fermata tutta la provincia, con un effetto domino che ha ricordato anche visivamente lo tsunami. Le prime aziende hanno addirittura anticipato il decreto del governo, perché mancavano le commesse e perché diventava ogni giorno più complicata la gestione organizzativa, per i tanti lavoratori ammalati e per gli altri a casa per paura dei contagi».

Tra febbraio e marzo si è progressivamente bloccata tutta la metalmeccanica orobica: «Una situazione veramente impressionante che in meno di un mese e mezzo ci ha obbligato a gestire una quantità spropositata di richieste di sospensione. Nelle molte aziende dove siamo presenti, abbiamo prodotto accordi che hanno garantito l’anticipazione del trattamento economico, rendendo meno pensante un momento così difficile». La situazione si è protratta fino a metà maggio, quando la provincia si è rimessa in moto, anche se con molte difficoltà, visto che anche dopo la chiusura totale uno dei problemi riscontrati era che il numero di commesse non garantiva la saturazione dei livelli occupazionali.

«Sicuramente – continua Nieri –, la vocazione del manifatturiero e del metalmeccanico, almeno per la parte rivolta all’estero, è stata condizionata dalla pandemia esplosa anche nei paesi cui si faceva riferimento (Germania, USA e Regno Unito) che hanno registrato andamenti negativi, e del mercato cinese che viaggiava a un ritmo quasi di stagnazione».

«La preoccupazione, ora, riguarda lo scenario che ci troveremo di fronte nel 2021: oggi, l’intervento del governo, con il blocco dei licenziamenti e il finanziamento degli ammortizzatori sociali, ha contenuto i danni, ma quando cadranno i vincoli, e faremo i conti con un mercato ancora in contrazione e con previsioni di timida crescita fino al 2022, allora dovremo saper gestire situazione forse ancora più drammatiche - spiega Nieri –. I contratti di solidarietà potranno essere una soluzione che aiuterà a gestire le eventuali difficoltà di saturazione occupazionali, ma in prospettiva, dovranno essere la formazione e la riqualificazione della forza lavoro in uscita a rappresentare la svolta: è stato istituito un fondo che sfiora il miliardo e che permette di utilizzare giorni di ammortizzatori sociali come formazione e riqualificazione per nuove competenze che il mercato richiederà con le prossime evoluzioni. Mi auguro – conclude il segretario della Fim bergamasca - che ci sia da parte delle aziende una certa lungimiranza: dobbiamo capire che le sfide del futuro si vincono a partire dalla valorizzazione delle risorse umane».

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