Il calvario di Jessica, morta a 43 anni
«Non aveva mai avuto un’influenza»

«La mamma non si sveglia». Il dramma ha cominciato a concretizzarsi la mattina di martedì scorso, il 10 marzo. Samuel, tredici anni e mezzo, è andato a chiamare la mamma Jessica Barcella, 43 anni.

L’ha scossa, ma lei non si svegliava. Preoccupato, ha avvisato il papà Luigi. E alla casa di Pedrengo sono accorsi, dall’altra parte della strada dove vivono, anche la mamma Rosa e l’inseparabile sorella Iris. «Non c’era niente da fare, non si svegliava», racconta la sorella Jessica, ripercorrendo come la sua famiglia sia stata colpita e devastata in una ventina di giorni. Fino al tragico epilogo di giovedì 19, quando questa mamma tuttofare si è spenta all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo con la diagnosi del coronavirus.

Meno di un mese prima, Jessica stava festeggiando con il marito e i due figli, Samuel e Christian, i sedici anni di quest’ultimo. «Stava benissimo - racconta la sorella -: in generale non ha mai avuto un’influenza nella sua vita. Non fumava, non beveva: era anche salutista nel mangiare, benché mai estremista. Eppure si è ammalata ed è morta». Il calvario è cominciato sabato 29 febbraio, con un po’ di febbre e qualche dolore tipico dell’influenza. Presa una Tachipirina la sera, la domenica sembrava stare meglio. Lunedì 2 marzo tornano i dolori, anche forti, al torace. Martedì il marito la accompagna all’ospedale di Seriate per una radiografia. L’esito parla di una «polmonite con versamento pleurico sinistro». Indossa la mascherina ma resta un’ora e mezza in attesa dell’esame.

Le viene prescritta una cura con l’antibiotico. Già il giorno dopo migliora e il venerdì sembra stare bene, tanto da fare la doccia. Sabato 7 marzo torna la febbre. Lunedì arriva il medico di base, che la visita: qualora peggiorasse, avrebbe dovuto chiamare il 112. La mattina dopo il dramma. Jessica non si sveglia più: già da una settimana dorme isolata, come consigliato dai medici. Arriva in un quarto d’ora l’ambulanza. L’ossigenazione del sangue è a 12, quando sotto i 90 (su 100) è pericolosa. «Ha aperto gli occhi, ma sembrava altrove - riferisce la sorella, ora in quarantena come tutta la famiglia -. Arrivata al Papa Giovanni, le hanno rifatto le lastre e la polmonite era diversa da quella di una settimana prima. Le hanno anche fatto il tampone: era il Covid-19».

La febbre resta alta: Jessica viene sedata e intubata. I giorni dopo sembra arrivare un lieve miglioramento, ma poi il quadro clinico precipita e alle 11,20 di giovedì scorso la quarantatreenne muore. «I medici l’hanno presa a cuore, anche perché giovane e mamma - dice la sorella -: sono stati davvero splendidi, anche se hanno detto che per loro la scomparsa è stata un grande insuccesso». Jessica lascia anche mamma Rosa e papà Claudio, entrambi poco più che sessantenni. Le due sorelle, entrambe dipendenti dello studio legale Ottavio Masseroni, erano legatissime: «Jessica era la mia collega e anche la mia migliore amica. Andavamo anche in vacanza assieme. Jessica era una mamma meravigliosa, una moglie attenta e una figlia presente e affettuosa. L’aspetto più straziante sta anche nel non poter vivere il lutto. A me dà fastidio vedere la gente che balla e canta sui balconi, semmai si preghi. Bisogna chiudere tutto. Non uscite o moriremo tutti».

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