Il cappuccino al bar, esperienza ipnotica
Prove di normalità, prevale la prudenza

La ricerca di una normalità sta anche in quel cappuccino, finalmente servito in tazza e non in un bicchiere di carta.

Con il barista dall’altra parte del banco che ti sorride e lo vedi anche se ha la mascherina. E ti dice che «è dura, ma siamo ancora qua». Magari distanziati un metro l’uno dall’altro, in 3 lungo un bancone dove di solito stavi in 6-7, ma il cucchiaino che fai girare in quella schiuma è qualcosa di ipnotico e molto simile alla felicità.La normalità è anche quella multa piazzata sul lunotto posteriore dell’auto parcheggiata in divieto di sosta e pure con due ruote sopra il marciapiedi in via Baioni. O quel colpo di clacson che ti fa capire che è verde alla rotonda del Galgario, quindi vedi di muoverti...

Si può essere contenti che arrivi un lunedì, da sempre il giorno meno amato delle settimana? Sì, se assomiglia tanto a quell’abbozzo di quotidianità che ci è tanto mancata in due mesi e mezzo di lockdown. Parola entrata di diritto nelle più odiate di questi anni. La guardia deve restare ancora alta, altissima, ma poco alla volta si può tornare a cacciare la testa fuori di casa, anche solo per fare un giro, guardare le vetrine, bere un (vero) caffè. Quasi stupirsi davanti ad una saracinesca che torna ad alzarsi in una calda giornata di sole.

I primi cappuccini al bar

C’è più gente in giro. Lo vedi prima delle 9 quando, nonostante il ritorno alla sosta a pagamento, le strisce blu del centro sono tutte piene. Anche gli autobus viaggiano con più gente del solito, c’è più movimento nelle strade. Molti uffici hanno saggiamente continuato sulla strada dello smart working, qualcuno prova invece a diminuire le distanze. Ma l’occhio è puntato su ristorazione e commercio, sono loro i protagonisti di questi strano lunedì di maggio nell’era del Covid-19.I primi a scendere il campo sono i bar: distanze rigide, igiene al top, ma servizio garantito. Niente ressa, tempi morbidi e nemmeno quotidiani da leggere, ma quel «finalmente» che accompagna la prima sorsata del cappuccio dice tutto.

C’è modo e modo di ripartire, e così sembra tutto cominciare col piede giusto.Certo, continui a parlarti dietro una mascherina, a girare con la visuale tarata su un metro di distanza, a stare in ordinate fila più scandinave che mediterranee, per passare in banca ti serve l’appuntamento e la tua vita a tratti sembra quella di un pesce rosso attraverso la boccia. Ma è già qualcosa. Anzi. tanto.

Distanze di sicurezza

I ristoranti entrano in scena all’ora di pranzo, e si capisce subito che non sarà facile abituarsi. Distanze di sicurezza e una convivialità che viene quasi soffocata sul nascere dalle regole. Il metro è già qualcosa di mentalmente insuperabile, pensare ai 4 proposti in prima battuta pare surreale. Anche se dal punto di vista della scienza aveva più di un perché. Poi ci sono le vetrine che in poche ore fanno primavera: le avevamo lasciate fino a sabato con i saldi invernali di una stagione mai finita ed ecco colorarsi con i capi di una forse mai iniziata, come ci fanno notare diversi commercianti. Il concetto chiave è quello di limitare i danni: provare ad esserci e poi si vedrà.

Di gente nei negozi ce n’è pochina, e comunque l’ingresso sarebbe contingentato, ma le vetrine attirano gente: in via XX Settembre c’è quel minimo di movimento che fa sperare, che rende questo lunedì uguale a quelli prima del coronavirus. C’è il sole, tanti ragazzi in giro già vestiti d’estate. Parola d’ordine, prudenza, ma si può provare a ripartire. Benedetta normalità, quanto ci sei mancata.

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