Il ricordo di Lucianetti, fisico sognatore
Una vita per la luce: stelle, laser e fede

Oggi sarebbe stato il suo compleanno, ma Antonio Lucianetti dal 19 novembre sta scrutando le amate stelle da una posizione privilegiata, stroncato in poco tempo da un male incurabile che non ha minato la sua serenità di uomo di fede.

«Diceva sempre che “siamo pellegrini su questa terra. Ci sono scienziati che credono e scienziati che non credono. Io sono un credente”». Lo racconta Marzia, la sorella ginecologa che - con il fratello Alessandro, primario di chirurgia - è stata accanto a lui e alla moglie Paola all’ospedale Papa Giovanni XXIII nei giorni della sofferenza e dell’addio. Antonio aveva 54 anni ed era un fisico, specializzato nel campo dei laser. Per una beffarda casualità era rientrato per curarsi a Bergamo il 1° ottobre, esattamente 24 anni dopo avere salutato la città nella quale lui - veronese di nascita - era cresciuto fin dal 1969 in Borgo Santa Caterina.

Era un cervello italiano che aveva scelto l’estero, sia per rincorrere il suo sogno professionale, sia per sentirsi cittadino del mondo: Berna (dottorato all’università dal 1996 al 2000), Berlino (ricercatore al Max Born Institute dal 2000 al 2003), Bielefeld (professore universitario nel 2004), San Francisco (ricercatore post dottorato al Lawrence Livermore National Laboratory dal 2004 al 2006), Louisiana (ricercatore al Ligo Livingston Observatory dal 2007 al 2009), Parigi (ricercatore al Cnrs dal 2009 al 2011) e da nove anni Praga, dove era responsabile del dipartimento di sviluppo avanzato del laser più potente del mondo al centro Hilase, sommerso da messaggi di cordoglio da tutto il mondo. Il capo del progetto, Tomas Mocek, l’ha ricordato con una bellissima lettera in cui dice che «l’obiettivo di realizzare il sistema laser più potente del mondo era da fantascienza, ma anche in virtù della determinazione di Antonio il sogno è diventato realtà nel 2016», ha sottolineato come Lucianetti, Accademico delle Scienze della Repubblica Ceca, fosse «un mentore eccezionale per i suoi studenti ritenendo che una delle missioni del progetto era la formazione dei giovani ricercatori, gli scienziati del futuro» (la sua gratificazione più bella, per il nipote Marcello), che la sua scomparsa è una «perdita per l’intera comunità scientifica» e ne ha esaltato il patrimonio morale: «L’essenza della gentilezza, del dovere e della genuina umanità. Era di cuore aperto e sempre pronto ad aiutare gli altri. Il suo team era una sorta di oasi di pace».

Nel 2017 Rainer Weiss, Barry Barish e Kip Thorne hanno vinto il premio Nobel della fisica per avere dato un decisivo impulso alla realizzazione dell’osservatorio Ligo e, nel 2015, alla prima rilevazione diretta delle onde gravitazionali previste nella teoria della relatività generale di Albert Einstein esattamente un secolo prima. Ebbene, tra i tanti scienziati che hanno contribuito alla storica scoperta c’è anche Lucianetti per il suo lavoro in Louisiana. Tra il 1998 e il 2020 è stato autore o coautore di 242 articoli, tra cui quelli più citati sono relativi al progetto Ligo dal 2008 al 2011. In America era stato introdotto dall’ingegner Orazio Svelto, professore emerito al Politecnico di Milano, un pioniere nella fisica dei laser.

Una vita esauritasi prematuramente ma ricchissima perché la sua sete di conoscenza era inesauribile e i suoi interessi molteplici, dalla musica classica con il prediletto Bach alla montagna (Baselga di Piné era il suo buen retiro), dai libri - adorava i salmi e le opere di Sant’Agostino - all’arte, dai vini al volontariato. Una vita che - dopo la maturità al Lussana, una passione per l’astronomia (è stato socio-fondatore del Circolo astrofili bergamaschi: quante nottate con il telescopio alla rocca di San Vigilio), la laurea in fisica a Milano e la supplenza in matematica alle superiori - è stata scandita dalla grande avventura all’estero: aveva conosciuto Paola, la moglie genovese, insegnante di italiano, a un corso di tedesco a Berna e l’aveva sposata nel 2001 dopo averle chiesto la mano sullo sfondo di un maestoso ghiacciaio svizzero. Quanti traslochi e quanti scatoloni... La sua primogenita Margherita, 18 anni, è nata a Berlino e studia in un college nel Michigan e la sua seconda figlia Martina, 15 anni, ha la cittadinanza americana.

Lontano ma sempre legatissimo a Bergamo, a Città Alta, alla sua famiglia orgogliosa di lui, a mamma Adriana che tempestava di telefonate per imparare ricette di cucina e a papà Marcelliano, suo vulcanico archivista a 91 anni suonati, ai fratelli a cui inviava whatsapp dettagliati su un quadro che aveva ammirato o sul percorso per raggiungere un rifugio montano. «Era come se fosse qui», dicono in coro. Ad agosto era stato in Italia in vacanza, anche a Dorga, quando ancora il male non si era manifestato nella sua crudeltà, stava già progettando il prossimo biennio a Praga con la sua consueta forza di volontà, con lo stimolo sempre di progredire. Dopo le sue visite in Giappone e Corea del Sud sarebbe dovuto volare in Cina per allargare il raggio di azione, viaggio rinviato per il Covid-19. Nel suo futuro, dopo Praga, immaginava un ritorno in Italia, della quale aveva sempre più nostalgia, era diventato un professore ordinario di fisica teorica e avrebbe potuto insegnare all’università, lui e Paola parlavano di una casetta al lago di Garda, ma il destino non ha voluto così.

Ciao Lucio, compagno di liceo e delle prime scorribande in giro per l’Europa, eravamo amici veri, eravamo fratelli, un manipolo fantastico. Diversi ma uniti. Ogni tanto in vacanza scomparivi all’improvviso perché dovevi assecondare il tuo innato spirito d’indipendenza e libertà, e ti scoprivamo a meditare, ad ammirare un panorama da solo, magari fumando un cigarillo. A volte ti astraevi dalla realtà, era complicato entrare nei tuoi pensieri, intuire i tuoi sentimenti, ma vedevi già lontano. Grazie per tutto quello che sei stato.

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