Il virus ha ridato linfa alla nostra fede
Beschi, tempo di una condivisione solidale

Da lunedì 18 si torna a Messa. Il vescovo Beschi: i sacerdoti non hanno mai smesso di celebrare, hanno continuato a farlo senza il popolo, ma per il popolo. Nelle famiglie vissuta una straordinaria esperienza di Chiesa domestica.

Da lunedì 18 maggio sarà nuovamente possibile partecipare alle Messe. Si rompe così un «digiuno» durato oltre dieci settimane, dai primi giorni cioè del mese di marzo. Un periodo molto lungo, nel quale - come sottolinea il vescovo monsignor Francesco Beschi nell’intervista che segue - siamo forse riusciti a cogliere maggiormente « il valore di un dono che troppo spesso abbiamo dato per scontato e ritenuto un diritto», oltre ad alimentare una straordinaria esperienza di Chiesa domestica.

Eccellenza, domani nelle chiese si potrà tornare a celebrare con la presenza dei fedeli. È un momento molto atteso da tanti che hanno vissuto una quaresima che ha avuto il volto della quarantena, che non hanno potuto celebrare la Pasqua in comunità ed hanno atteso questo annuncio di risurrezione, ma atteso anche da coloro che non hanno potuto offrire a Dio nella Messa la sofferenza della malattia e il dolore della morte.

«Le celebrazioni liturgiche con la presenza dell’assemblea, particolarmente la celebrazione dell’Eucaristia, sono parte integrante e decisiva della vita cristiana. L’impossibilità a parteciparvi viene sempre considerata eccezionale rispetto all’ordinarietà. Questo digiuno eucaristico è un digiuno che mai avremmo pensato di dover vivere e per così lungo tempo. È una situazione però che ci fa pensare ai diversi ambiti in cui questa eccezione si prolunga nel tempo, non essendovi le condizioni per poterla superare. Penso ai Paesi con scarsità di clero, ai Paesi che proibiscono esplicitamente la celebrazione comunitaria, ai Paesi in cui i cristiani sono perseguitati, ma penso anche a situazioni personali come la malattia, l’invalidità, l’infermità, la vecchiaia, ad alcune condizioni di lavoro, ad esempio con la permanenza in Paesi dove non sono raggiungibili celebrazioni religiose. La possibilità di riprendere le celebrazioni con l’assemblea riunita è dunque da considerarsi una benedizione».

La possibilità della celebrazione chiede comunque ai fedeli e ai sacerdoti il rispetto di diverse indicazioni cautelative.

«L’attuale situazione del nostro Paese - e in particolare della nostra regione, in cui la diffusione del contagio sembra diminuire costantemente, soprattutto per le misure di contenimento, anche se rimane una situazione di pericolo -, consente la graduale ripresa delle celebrazioni a condizione di garantire la sicurezza sanitaria di coloro che vi partecipano e dell’intera popolazione. Le norme stabilite dal Protocollo firmato dal Governo e dalla Conferenza Episcopale Italiana e le applicazioni diocesane definiscono pertanto i necessari adempimenti. Invito i sacerdoti, particolarmente i parroci, e tutti i fedeli a corrispondere accuratamente a queste disposizioni».

Quanto è pesato a lei e ai suoi preti non poter celebrare Messa?

«Ma noi non abbiamo mai smesso di dire Messa. Noi celebriamo e abbiamo celebrato la Messa tutti i giorni. Non abbiamo potuto farlo “con” il popolo, ma l’abbiamo fatto “per” il popolo. La mancanza fisica della gente ci fa soffrire, ma la Messa resta un momento per noi decisivo, ne scaturisce comunque un bene spirituale. A me pare un pane necessario a tutti noi, anche ai non credenti. È una forza morale condivisa, che si esprime in vari modi: telefono, radio, tv, social».

In questo i preti bergamaschi hanno dimostrato una fantasia pastorale incredibile ed emozionante, dimostrando vicinanza, riscoprendo i social, lo streaming, le app, le chat, le videochat, le radio, per offrire iniziative ai ragazzi a casa, riflessioni per gli adulti via, pillole audio con storie o canti per fare compagnia agli anziani, linee telefoniche di consolazione.

«Forse tutto questo ci ha aiutato a cogliere di più il valore di un dono che troppo spesso abbiamo dato per scontato e ritenuto un diritto. In più si è alimentata, come non mai, una esperienza di Chiesa Domestica attraverso la preghiera in famiglia, insieme per molti ad una profonda riscoperta della vita spirituale personale anche solo nel dare più spazio alla lettura del Vangelo».

Che cosa si attende da questo ritorno nelle comunità?

«Nei giorni di Pasqua ho detto che sono convinto che c’è una forza interiore più vasta e più profonda anche del male e dell’isolamento che il virus ha causato: questa è la fede che è la linfa nelle radici del popolo bergamasco. La nostra vita e la storia degli uomini è fatta - e lo sappiamo bene - da infinite morti e risurrezioni. Ma non è semplicemente un succedersi di vicende liete e di vicende tristi. Celebrare la morte e la risurrezione di Cristo, nelle vicende della nostra vita, è far abitare nelle nostre morti la forza dell’amore. Non semplicemente perché “ha da passà a’ nuttata!” - direbbe la famosa espressione - ma perché dall’amore sempre nasce una vita nuova. E se questo amore è l’amore di Dio, nasce la vita nuova di Dio! Abbiamo attraversato molte crisi. La crisi economica e finanziaria non è stata uno scherzo. La crisi ambientale non è uno scherzo. C’è anche una crisi ecclesiale. Molte volte abbiamo detto: non sarà più come prima. La domanda è: siamo pronti a imparare? Due sono gli elementi decisivi: la condivisione solidale, necessaria per venirne fuori, e l’esercizio di una responsabilità personale».

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