«Infezione diffusa, no a deroghe locali»
Salmaso, calo contagi non ancora solido

L’epidemiologa Stefania Salmaso: «Dobbiamo ancora capire quanto è solido il calo dei contagi». «Vale il principio dei vasi comunicanti: in Lombardia mobilità alta, difficile dire dove il rischio si manterrà minore»

«L’altalena dei contagi si muove ancora in maniera poco comprensibile e, soprattutto, dobbiamo ancora capire quant’è solido il calo di questi giorni». Per l’epidemiologa Stefania Salmaso, membro dell’Associazione italiana di epidemiologia ed ex direttore del Centro nazionale di epidemiologia, sorveglianza e promozione della salute dell’Iss, non è ancora il momento di abbandonare la cautela.

Possiamo dire almeno di aver superato la fase critica delle feste natalizie?

«Diciamo che se c’è stata una maggiore esposizione in quel periodo, ora potrebbe essersi esaurita, ma bisogna ancora vedere come funzionano le disposizioni che sono state adottate: si è visto per esempio che solo nelle zone rosse il calo dell’incidenza dei contagi è molto evidente. In alcune aree in zona gialla, al contrario, c’è stato addirittura un incremento».

Il sistema a colori è efficace anche con le deroghe?

«Più le restrizioni sono forti, più sono efficaci. Tuttavia non si possono imporre restrizioni totali per periodi troppo lunghi, soprattutto nella situazione economica e politica in cui ci troviamo e nella quale si cercano di bilanciare tutte le esigenze».

I dati della Lombardia - e di Bergamo in particolare - sono confortanti. È legittimo chiedere di uscire dalla zona rossa?
«I dati dovrebbero essere parametri obiettivi e una volta stabilito che alcuni di questi indicano un livello di rischio, non vedo come si possa derogare. Il sistema di indicatori è l’unico con cui si è cercato di stabilire criteri su cui tutti possano convergere. Quando una regione viene classificata con un colore, si presume che il rischio sia omogeneo in tutta l’area, il che potrebbe non essere vero. È vero però che in questa pandemia abbiamo toccato con mano la legge dei vasi comunicanti, per cui è difficile dire che una zona sia a minor rischio perché in quel momento ha una minore incidenza. All’interno delle singole regioni, e soprattutto in Lombardia, la mobilità è molto alta ed è difficile stabilire dove il rischio è e si manterrà minore».

I colori perderebbero efficacia se applicati su base provinciale?

«Diciamo che il sistema potrebbe essere più selettivo e puntuale se utilizzato al contrario, com’è stato fatto all’inizio, quando il virus circolava poco e avevamo zone in cui c’erano dei focolai localizzati. Ora che l’infezione è diffusa, applicare restrizioni puntuali e localizzate diventa difficile. Non basta seguire solo l’incidenza, bisogna anche verificare che capacità abbiamo di tenere sotto controllo l’infezione sul territorio».

E siamo tornati in grado di farlo?

«L’Rt deve scendere ancora, almeno fino a 0,5, per essere in zona di sicurezza. C’è da dire che le Ats e i Dipartimenti di prevenzione sono in affanno da molto tempo: lavorano molto ma manca una raccolta sistematica dei dati di esposizione e tracciamento dei contatti e non abbiamo una lettura a livello nazionale di quello che succede».

I test rapidi nelle scuole possono essere un modo per riaprire alle lezioni in presenza?

«Non sono una soluzione certa, ma almeno vanno provati. Fare il test solo una volta a ogni persona non ha senso, perché si trovano i positivi in quel momento ma non si capisce come si sposta l’infezione. La tempestività di identificazione delle infezioni è cruciale, sapendo soprattutto che esistono varianti in grado di diffondersi ancora più velocemente. L’identificazione degli infetti e il contact tracing dovrebbero essere più rapidi, ma è difficile quando ci sono numeri alti».

È possibile che circolino varianti che noi non conosciamo?

«Assolutamente sì. Ogni volta che una persona si infetta, nel suo organismo vengono prodotte molte copie del virus che magari non sono identiche tra loro. L’insorgenza delle varianti è attesa, ed è proporzionale al numero dei casi, questo è il problema. Ma non è detto che tutte le varianti siano più pericolose».

Perché è importante che l’indice Rt sia il più possibile basso per consentire una più efficace campagna di vaccinazione?

«Più l’Rt è alto e più si alza la quota di persone immuni che possono arginare il contagio, ma è un problema che oggi non si pone, perché in questo momento la campagna di vaccinazione probabilmente è orientata a prevenire gli aspetti più gravi dell’infezione e quindi a proteggere i soggetti più vulnerabili, anche se però sono quelli che veicolano meno il virus».

La somministrazione degli anticorpi monoclonali può rappresentare una soluzione per la cura del Covid in fase precoce?

«Sono un’ottima speranza; in questa fase stiamo vaccinando per evitare decessi e malati gravi, e gli anticorpi monoclonali vanno in questa direzione. Offrono una produzione passiva e devono essere somministrati vicino all’esposizione; quindi se una persona è stata infettata da poco, il virus può essere bloccato da anticorpi acquisiti passivamente. Potrebbero essere utilizzati anche in una profilassi post esposizione, oltre che come terapia d’attacco immediata, prima che il virus abbia tempo di replicarsi».

Lei si sentirebbe di sostenere l’ipotesi di rinviare il richiamo per vaccinare più persone in breve tempo?

«Non in questa fase del programma; ora vogliamo proteggere al meglio le persone più vulnerabili e usiamo i vaccini in base ai dati sperimentali di massima protezione. Adesso non è pensabile cambiare rotta. C’è chi dice che protezioni parziali potrebbero facilitare l’emersione delle varianti, creando eventualmente un effetto contrario. Per questo serve molta cautela».

© RIPRODUZIONE RISERVATA