La lettera del figlio al papà che è morto
«Un abbraccio a te e a chi ti ha aiutato»

«Mio papà Mario se n’è andato. Come molti bergamaschi, come molti italiani in questi giorni. Mio papà era un settantenne in forma».

«Portava i suoi nipoti ovunque. Il lunedì Cecy a lezione di canto, il martedì Gio a lezione di batteria, il mercoledì e il venerdì Leo e Gio all’allenamento di calcio. Tutti i giorni o portava o prendeva a scuola Leo a seconda delle esigenze. E nel frattempo, dopo essere tornato indietro, aiutava mia mamma, sua moglie Antonella, a tenere la piccola Maty durante la mattina. Era un punto di riferimento per mia madre e l’aiutava a rassettarmi l’appartamento il venerdì pomeriggio perchè io ero troppo impegnato al lavoro in settimana e così potevano darmi una mano».

«Mio papà sapeva aggiustare di tutto in casa e non diceva mai no a chi gli chiedeva di riparare un ferro da stiro non funzionante, un aspirapolvere recalcitrante, una lavatrice che non voleva più lavare, un citofono che non voleva suonare. Non voleva mai niente e rifiutava quei 5 o 10 euro con visibile imbarazzo. Imbarazzo che non aveva quando muoveva le orecchie in quel suo modo che solo lui sapeva fare per far ridere i nipoti».

«Mio papà si è ammalato. Dopo 10 anni senza una febbre, senza un acciacco, senza una patologia salvo un ginocchio un po’ malandato, ha deciso di ammalarsi nel momento peggiore. Nel momento in cui per poter essere portato in ospedale devi essere per forza già grave. Nel momento per cui se sei grave hai bisogno di una terapia intensiva che non è disponibile. Nel momento in cui se è disponibile una terapia intensiva viene data priorità ad una persona meno sacrificabile, più giovane».

«Beh, papà. Tu non eri sacrificabile. Tu eri una risorsa per ben tre famiglie e, lasciami dire, ho conosciuto trentenni ben più fannulloni ai quali avresti fatto le scarpe facilmente. Ringraziamo dal più profondo del cuore gli operatori del 118 che hanno portato giù dalle scale mio padre con estrema fatica e con tutta l’attenzione possibile. Ringraziamo tutto il personale sanitario, medici e infermieri, dell’ospedale di Ponte San Pietro che hanno assistito il nostro papà al meglio possibile e che in questi giorni si trovano costretti a dover scegliere con dolore e in lacrime chi tentare di salvare e chi no».

«Ringraziamo quelle infermiere che pur nella difficoltà, nella confusione e nella stanchezza hanno trovato due minuti per appoggiare la cornetta, per portare il nostro saluto e il nostro affetto a papà e poi tornare a dirci che aveva capito. Un abbraccio grande al dottore che ha girato quasi tutto l’ospedale per capire in che reparto fosse stato messo il nostro papà. Un abbraccio grande alla dottoressa che l’ha seguito e che ha pianto con noi al telefono perché il nostro papà gli ricordava il suo. Un abbraccio grandissimo a tutte quelle persone che come noi hanno perso un caro che non era sacrificabile. E infine un abbraccio a te, papà. Ci mancherai tantissimo».

Tuo figlio Massimo

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