La lettera: laurea e voglia di lavorare
«Ma a 31anni faccio solo fotocopie»

Una lettera pubblicata nei giorni scorsi dal nostro giornale e che on line può creare sicuramente dibattito, leggendo lo sconforto e l’esperienza lavorativa di questa 31enne bergamasca.

.«Gentile redazione, ho pensato, come immagino molti altri cittadini, di provare a contattarvi per condividere con quanti si trovano nella mia stessa situazione la mia esperienza. Sono una ragazza di trentuno anni e quando mi sono laureata in lingue nel 2012 pensavo che tutti gli sforzi, i sacrifici miei e dei miei genitori e le difficoltà superate, avessero finalmente la giusta ricompensa in termini di soddisfazione personale e nel tempo anche lavorativa. Sono stata fortunata perché immediatamente mi hanno assunto prima con un contratto a termine e poi con uno a tempo indeterminato presso un’azienda in espansione che non ha mai risentito della crisi economica di questi ultimi anni. La realtà tuttavia si è ben presto palesata ai miei occhi: il mio titolare dopo sei anni che lavoro per lui neanche sa che ho una laurea, le mie colleghe me la rinfacciamo ancora facendomi svolgere mansioni «altamente professionalizzanti» quali l’archiviazione e la fotocopia dei documenti e in tutto questo mi sono spesso sentita dire con malcelata cattiveria : «È dura stare qui a fare fotocopie con una laurea in tasca! Chissà cosa direbbe tue padre sei vedesse». All’inizio pensavo di dover fare la cosiddetta gavetta e in un certo senso giustificavo quello che mi succedeva.Nel frattempo sono passati sei anni e due gravidanze. Con il primo figlio ho dovuto restituire all’azienda i 26 euro del costo del certificato rilasciato per poter lavorare fino all’ottavo mese e mi sono sentita dire che non era stato richiesto dalla direzione che io lavorassi un mese in più, come se il mio contributo fosse irrilevante. Quest’anno ho partorito di nuovo ma non sono stata bene e così sono rimasta a casa quasi subito e al mio rientro tornerò ad occuparmi delle fotocopie dell’azienda perché, come mi è stato cortesemente puntualizzato, non c’è più bisogno di me. Ho trentuno anni e la sensazione bruttissima di non avere più possibilità di togliermi qualche seppur minima soddisfazione professionale».

«Sono giovane, preparata e con tanta voglia di fare ma questo non interessa a nessuno. Ai miei figli vorrei poter insegnare che nella vita impegno e correttezza vengono ripagati ma purtroppo non è così. Penso che le persone che mi stanno facendo tutto questo dovrebbero vergognarsi ed invece mi ritrovo a scrivere questa mia chiedendo di rimanere anonima per paura di perdere quel contratto che mi permette di pagare il mutuo, le bollette e mantenere i miei bambini. Sono consapevole che si tratta della mia parola contro quella di altri e che in fondo, come purtroppo capita sempre in questa società, i prepotenti e gli arroganti hanno sempre ragione. Vorrei solo che sempre meno persone si sentissero come mi sento io: invisibile e senza alcuna chance di migliorare la mia condizione. Vorrei che i ragazzi completassero come ho fatto io il loro percorso di studi con la certezza che chi si impegna e vale riesce nella vita.Mi piacerebbe che mettere al mondo un figlio fosse un arricchimento personale che non mette un freno alla realizzazione delle donne. Mi piacerebbe raccontare un giorno ai miei bambini che non ho mai mollato, che non sempre vincono «loro», che a volte proprio come succede nelle favole più belle qualche piccolo desiderio si avvera. In fondo cosa chiedo? Di poter essere orgogliosa di me stessa e di sentire che si è sempre in tempo. Vi ringrazio dell’attenzione e spero veramente che in qualche modo riusciate a dare voce a chi come me voce non ha».

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