Nel 2019 si sono dimessi 1430 neogenitori
Oltre mille sono donne (il 73,5%)

La Relazione della Consigliera di parità della provincia di Bergamo mostra dati scoraggianti evidenziando, in generale, le difficoltà dei neogenitori lavoratori a conciliare la vita famigliare con quella lavorativa

La Relazione della Consigliera di parità della provincia di Bergamo sui dati relativi alle convalide delle dimissioni nell’anno solare 2019 e nel primo semestre 2020 mostra dati scoraggianti evidenziando, in generale, le difficoltà dei neogenitori lavoratori a conciliare la vita famigliare con quella lavorativa. La parte dei dati relativa all’anno 2019 è stata presentata in videoconferenza dall’Ispettorato del Lavoro e dalle Consigliere nazionali il 24 giugno scorso.

Il tasso di occupazione femminile a Bergamo nel 2019 si attestava al 54%, sotto la media lombarda (59,3%) e sopra quello nazionale (49%). Quello maschile invece si attestava al 76%, con una differenza di ben quasi 22 punti percentuali. Con la ripresa economica il gap di genere è aumentato, sebbene anche il tasso di occupazione femminile sia costantemente aumentato dal 2017 al 2019.

Secondo i dati della Provincia di Bergamo, nel primo trimestre dell’emergenza Covid si sono ridotte le posizioni di lavoro dipendente causa stop delle nuove assunzioni e mancato rinnovo dei contratti temporanei. Il mese di maggio segna un calo occupazionale di 6,6 mila posizioni. La componente femminile registra un calo più accentuato di quella maschile nelle nuove assunzioni (-49,7% contro 44.6%) e una minore riduzione delle cessazioni (-16,2% contro 22,3%).

I posti di lavoro persi sono stati quella a maggior concentrazione femminile (segregazione settoriale). In tale panorama è possibile ora analizzare nel dettaglio le dimissioni dei neogenitori al fine di poter comprendere come porvi rimedio e favorire l’occupazione femminile, quale principale motore dell’economia.

Dal Portale della vigilanza del Ministero del Lavoro, cui le Consigliere hanno accesso per la Provincia di competenza, è possibile rilevare e analizzare i dati bergamaschi in tema di dimissioni di neogenitori. Secondo tali dati dell’Ispettorato Territoriale di Bergamo nel 2019 hanno presentato le dimissioni n. 1.430 neogenitori contro 1.459 del 2018 e 947 del 2017.

Confrontando il dato 2019 e anche quello relativo al I semestre del 2020 e in un’ottica di proiezione si evince una debole contrazione totale del fenomeno, con un aumento delle dimissioni delle lavoratrici madri. Preoccupa l’attuale stagnazione del mercato lavoro, la possibile recessione economica i cui effetti potranno essere visibili a partire dal prossimo autunno e soprattutto la sospensione dei servizi di supporto dei servizi di cura durante il lockdown e la loro incerta riapertura per i prossimi mesi.

Seconda un’ottica di genere delle 1.430 dimissioni volontarie presentate, 1.051 riguarda donne (73,5%) contro il 379 degli uomini (26,5%). In termini percentuali nel 2020 le donne rappresentano il 78,8% (con un aumento di ben 5 rispetto all’anno precedente) e 395 in valori assoluti. Esaminando il tipo di recesso si nota che prevalgono le dimissioni volontarie nelle madri: 1.037 nel 2019 (98,67%), dato confermato anche per il 2020 (96,71%) e stesso dicasi per quelle dei padri: 307 nel 2019 (97,63%). Il tipo di recesso, quale giusta causa e risoluzione consensuale rappresentano insieme nel 2019 solo il 1,34% e lo stesso vale anche per gli anni 2017 e 2018.

Considerando l’età delle lavoratrici le dimissioni si concentrano per gli anni dal 2017 ad oggi in due fasce d’età :29-34 e 34-44, nel 2019 presentano lo stesso valore assoluto (402).

Sulla questione interviene la Cisl: «Inutile stracciarsi le vesti per la sempre più scarsa natalità e per le conseguenti difficoltà a mantenere un sistema di welfare adeguato all’invecchiamento della popolazione. Quello che manca non è la voglia di fare bambini, quanto la capacità di “resistere” al lavoro e non far mancare ai figli assistenza e presenza». In controtendenza con il trend nazionale, Bergamo – secondo i dati dell’Ispettorato del lavoro, diffusi dalla Consigliera di Parità – presenta numeri in discesa rispetto alle dimissioni totali, e nello specifico di quelle maschili, passate dal 25.9 del totale 2018, al 17,7 per il 2019.

Come è tradizione, dunque, sono ancora e soprattutto le donne a fare le spese di un sistema poco flessibile e poco predisposto alla conciliazione.

«Sono dati inaccettabili: è assurdo constatare ancora come la maternità, pur essendo tutelata dalla legge, rimanga una delle cause principali di allontanamento delle donne dal mondo del lavoro», dice Katia Dezio, responsabile del Coordinamento Donne della CISL di Bergamo.

«Sono ancora pochissime le aziende che manifestano più aperture e più elasticità con le lavoratrici madri alle proprie dipendenze; in queste aziende si è raggiunta più stabilità e rapporti di lavoro più duraturi. Il lavoro delle donne aiuta la libera scelta della maternità e mette al sicuro la famiglia dal rischio di povertà.

Il tema della conciliazione – conclude Dezio - è da rafforzare e da portare avanti con forza e con coraggio, se non vogliamo che le madri continuino ad essere fortemente penalizzate sul fronte delle opportunità lavorative con conseguenze drammatiche non solo nella sfera privata, ma in tema di natalità, vulnerabilità economica delle famiglie, crescita economica».

«Un ruolo importante lo gioca la contrattazione, con l’introduzione di politiche di welfare aziendale e contrattuale, che devono essere il perno dell’azione sindacale sul quale far ruotare idee, proposte e servizi che aziende e territorio devono mettere in atto per tutelare il lavoro femminile, la famiglia e incentivare la natalità – dice Danilo Mazzola, segretario provinciale CISL. I dati dell’Ispettorato sono l’ennesima allarmante conferma della difficoltà di essere madri e lavoratrici e di quanto siano necessarie forme positive di flessibilità e servizi che permettano il mantenimento del proprio posto di lavoro.

L’ultima proiezione del nostro Osservatorio parla di un pericoloso crollo delle nascite per il 2021, a causa dell’epidemia di Covid e della conseguente crisi occupazionale, che ha coinvolto migliaia di giovani. L’impegno che come parti sociali dobbiamo assumerci – conclude il sindacalista bergamasco - è che strumenti flessibili e modalità di lavoro innovative, come lo smart working, trovino spazio nei contratti collettivi e negli accordi aziendali e territoriali, perché in un paese che mette al primo posto la natalità, coniugare il lavoro e le esigenze di cura dei figli, non deve essere un problema.»

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