Lorini: «I contagi sono ancora contenuti
ma l’epidemia non è finita, serve cautela»

Il primario della Rianimazione: «Siamo passati da 1.400 a 35 posti letto
in terapia intensiva. Questa non è una ripresa, è una ripresina. Però non ne siamo fuori».

I suoi fari, i numeri. A quelli ha sempre guardato. Nel pieno della crisi, quando la «sua» terapia intensiva s’è trasformata nella terapia intensiva più grande al mondo dopo quella di Wuhan, ma anche oggi.

Luca Lorini, primario della Rianimazione del Papa Giovanni XXIII di Bergamo, non commenta. Esibisce i dati. «E i dati oggi ci dicono che, in Lombardia, bastano i soli posti letto di terapia intensiva messi a disposizione dai cinque ospedali hub regionali per accogliere tutti i pazienti positivi al coronavirus che necessitano di rianimazione. Sapete di quanti posti letto parliamo? 35, e non sono nemmeno tutti pieni. Sapete di quanti posti letto di terapia intensiva avevamo bisogno invece nel pieno della crisi?1.400. Ecco: direi che la situazione, al momento, è ampiamente sotto controllo».

Un realismo che ha sempre fatto da leitmotiv nelle riflessioni di Lorini. Sia quando c’era da bacchettare i cittadini – il suo «nessuno incontri nessuno» di marzo è quasi un marchio di fabbrica ormai –, sia quando c’è, e siamo a oggi, da evitare facili allarmismi. «I numeri ci dicono che in questo preciso momento non c’è una vera e propria ripresa dei contagi. Semmai, una ripresina: usiamo un diminutivo per rimarcare la differenza. Ma del resto sarà così fino a quando non ci sarà un vaccino. Dobbiamo abituarci a convivere con questa situazione di mezzo: non siamo nel clou della crisi, ma non ci siamo nemmeno usciti. Abituiamoci a vivere in questo step intermedio». Una sorta di limbo in cui riecheggia il verbo più usato in questa fase dagli esperti: convivere. «Lo ripeto da marzo. Per dichiarare chiusa un’epidemia ci vogliono almeno quaranta giorni ininterrotti di contagi zero. E noi, semplicemente, non ci siamo.

Quindi, grande cautela. Ma non siamo nemmeno tornati ai tempi più bui della crisi: va detto, è altrettanto importante». Una terra di mezzo in cui vivere in attesa del vaccino. Vivere senza terrore, ma con grande prudenza. Anche perchè, i numeri sono contenuti – appunto – ma lungi dal dire che vada abbassata la guardia. Anzi. Gli esperti, su questo, sono tutti d’accordo. Alessandro Vergallo, presidente nazionale dell’Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani, ricorda infatti che «nonostante siamo molto lontani dal livello di allarme rosso di marzo e aprile grazie al contenimento sociale, i pazienti che vengono ricoverati nei reparti di terapia intensiva non sono meno gravi di quelli arrivati nel clou dell’epidemia». Come a dire: non siamo tornati ai grandi numeri, ma i pazienti (seppur pochi) in rianimazione non se la passano meglio di quelli ricoverati sei mesi fa.

E proprio in tema di terapia intensiva, l’ospedale Papa Giovanni XXIII non è stato individuato come hub: significa che, stando alle disposizioni regionali, dal 1° agosto i pazienti positivi al Covid che necessitano di rianimazione devono essere ricoverati nei cinque ospedali individuati dal Pirellone, ovvero Policlinico San Matteo di Pavia, Sacco, Policlinico e Niguarda di Milano e Spedali Civili di Brescia (presidio di riferimento anche per Bergamo). Un’organizzazione apprezzata da Lorini che, ospite della rassegna Sapiens (stasera alle 20,30 nel cortile del palazzo della Provincia di Bergamo) racconterà la sua battaglia contro il coronavirus: «È un’organizzazione che mi convince, che io stesso avevo caldeggiato già da prima dell’estate. È inutile infatti, in questa fase, avere pochi pazienti positivi al Covid disseminati in tutte le terapie intensive lombarde. Meglio concentrarli in pochi presidi».

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