Malato di emofilia, ma non si ferma
E conclude il Cammino di Santiago

Nicola Pezzotta, 22 anni di Bolgare, era partito contro il consiglio dei medici: troppo rischioso. «Ho avuto momenti di sconforto, ma sono andato avanti: perché non bisogna mai mollare»

La malattia non l’ha fermato, nemmeno le preoccupazioni e i tentativi di dissuaderlo dei medici. «Ho ascoltato il mio corpo e mi sono detto che ce l’avrei fatta, così è stato». Nicola Pezzotta, 22 anni di Bolgare, è affatto da emofilia. Una patologia di origine genetica ed ereditaria che provoca una coagulazione del sangue non corretta e che può portare - a causa di ripetuti sanguinamenti nelle articolazioni e nei muscoli - a dolore, rigidità e limitazione funzionale. Nonostante questa malattia, il ragazzo ha affrontato una enorme sfida, portando a termine in meno di un mese il Cammino di Santiago.

«Ho sempre saputo di avere questa malattia, essendo di origine ereditaria – racconta il ragazzo, studente al quarto anno di Ingegneria edile e di architettura – . I miei genitori mi hanno abituato, fin da bambino, ad avere delle attenzioni. Ad esempio indossando, quando ero piccolo, ginocchiere e caschetto per evitare urti che avrebbero potuto provocare delle emorragie. Ma nonostante ciò ho vissuto bene».

L’emofilia, malattia rara di origine genetica ed ereditaria, principalmente maschile, è provocata da un difetto della coagulazione del sangue. In condizioni normali, in caso di fuoriuscita dai vasi sanguigni, il sangue forma un «tappo» che impedisce l’emorragia. Questo processo comporta l’attivazione di numerose proteine del plasma in una specie di reazione a catena. A causa di un deficit di queste proteine, prodotte nel fegato, gli emofilici possono facilmente subire emorragie esterne e interne, più o meno gravi. Accusano anche problemi alle articolazioni. «Quando ero piccolo – prosegue il ragazzo – mi avevano impiantato un catetere venoso centrale per le terapie, la cosa peggiore è stata più avanti, per la vergogna per la cicatrice che mi era rimasta».

Ora invece la terapia viene somministrata via endovenosa, due o tre volte alla settimana. Un’iniezione che il ragazzo si pratica da solo: «Ho imparato in terza media – raccolta ridendo – . C’era in gioco la gita di tre giorni dell’ultimo anno. Dovevo imparare, altrimenti sarei rimasto a casa». Grazie ai nuovi farmaci la vita di Nicola Pezzotta procede senza particolari disturbi: «I problemi sono pochi nel mio caso, convivo bene con questa malattia. E anche i rapporti non ne risentono – spiega – ma per altri pazienti emofilici non è così».

Del Cammino di Santiago aveva sentito parlare in quinta superiore: «Da un mio compagno che per il classico viaggio della maturità aveva scelto questa esperienza. Mi aveva colpito molto. E mi sono detto, prima o poi lo devo fare». L’occasione è arrivata nel corso della primavera quando ha deciso di partecipare a «Liberate Life. Libera la vita. Storie di sogni che l’emofilia non può fermare». L’iniziativa è promossa dall’azienda biofarmaceutica Sobi con il patrocinio di FedEmo (Federazione delle associazioni emofilici) per invitare gli oltre 5 mila italiani che convivono con questa rara malattia e i loro caregiver a non limitare la propria vita, le proprie passioni e aspirazioni. «Mi hanno chiesto quale sfida avrei voluto affrontare – racconta - e io non ho avuto dubbi, era un desiderio che mi portavo dietro da anni, sentivo anche il bisogno di rallentare una vita frenetica, tra studio e lavoro». A giugno è iniziata la preparazione, insieme allo youtuber di viaggi Nicolò Balini, noto come Human Safari: «Insieme abbiamo affrontato le possibili criticità dal punto di vista psicologico, mentre dal punto di vista fisico ero già abbastanza allenato, ma ho incrementato l’attività fisica, con camminate in montagna». Le preoccupazioni erano più dei medici: «In particolare per le mie caviglie – continua – che non sono in ottime condizioni, mi è stato sconsigliato di partire, ma io me la sentivo».

Tant’è che oltre ai 20 chilometri giornalieri, spesso ne faceva anche molti altri. Ma ci sono stati anche momenti di difficoltà. «Ero quasi a metà percorso, quando ha iniziato a piovere, ero zuppo, avevo perso il gruppo di ragazzi con cui stavo proseguendo il cammino. Avevo gli scarponi fradici. E mi sono detto “Chi me l’ha fatto fare’”. Ma lo sconforto è durato poche ore: “Ho incontrato i ragazzi che avevo perso ed è tornata l’energia». E ce l’ha fatta: 26 giorni complessivi di cammino, 31 di viaggio, per 204 chilometri. «È stato fantastico, non mi è mai passato per la testa di fermarmi. È stato anche di enorme insegnamento che voglio condividere con chi ha una malattia: non bisogna mai mollare».

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