Migranti, gli equivoci
sull’emergenza

Proviamo a mettere a confronto questi due dati. Ieri il ministero degli Interni ha reso noti i dati degli sbarchi nei primi sei mesi del 2019: secondo i calcoli del Viminale sarebbero stati solo 2.199, contro gli oltre 70mila del corrispondente periodo del 2017. Sempre ieri l’Unhcr, l’agenzia Onu che si occupa dei rifugiati, ha presentato il suo Rapporto dal quale si deduce che in questo momento sono 70,8 milioni le persone in fuga dalle loro case o dai loro Paesi, a causa di guerre, di dittature o di violazione dei diritti più elementari.

70,8 milioni è la cifra più alta mai registrata dall’agenzia dell’Onu dal Dopoguerra, con 13,6 milioni di nuovi sfollati. Oltre tutto i dati si riferiscono al 2018 e quindi non comprendono il grande esodo che sta consumandosi dal Venezuela ridotto alla fame (si parla di 4 milioni di persone in fuga dal Paese). La forbice tra questi due numeri non può non creare sconcerto: 2.199 in Italia contro 70,8 milioni nel resto del mondo. In realtà è un numero che trova una sua spiegazione, al di là delle strategie salviniane: infatti un’analisi più approfondita dei dati ci rivela quello che è un atteggiamento diffuso in tutto il mondo ricco. I Paesi ad alto reddito accolgono infatti mediamente 2,7 rifugiati ogni mille abitanti, quelli a reddito medio e medio basso 5,8, mentre i Paesi più poveri accolgono un terzo di tutti i rifugiati nel mondo.

È un dunque un fenomeno epocale, dal quale i Paesi ricchi si sono sostanzialmente tenuti al riparo, nonostante una percezione diffusa faccia pensare il contrario. Il destino dei rifugiati sono nella stragrande maggioranza dei casi è a carico di popolazioni che spesso non sono messe meglio di loro. La cosa stupefacente, come ha ricordato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati, l’italiano Filippo Grandi, è che nella comune povertà sono scattati meccanismi sorprendenti di solidarietà. «Il linguaggio intorno ai rifugiati e ai migranti è spesso fonte di divisioni», ha detto Grandi, «ma stiamo anche assistendo a una grande dimostrazione di solidarietà, soprattutto da parte di comunità che ospitano a loro volta un gran numero di rifugiati».

Ci sono tanti equivoci fuorvianti generati dalla narrazione fatta dai grandi media sull’emergenza migrazioni. Lo si dipinge come una pentola a pressione pronta a esplodere e a riversare nel mondo ricco milioni di disperati. Invece scopriamo che di quei 70,8 milioni di sfollati, ben 41,3 sono sfollati all’interno del loro stesso Paese. Si sono spostati da un luogo all’altro, per sfuggire a guerre o violenze, come sta succedendo tra i popoli del lago Ciad in Africa, dove intere comunità fuggono per mettersi al riparo dalle incursioni terroristiche di Boko Haram.

Qual è il primo sogno di questi milioni di persone? A dispetto di quanto viene raccontato e viene fatto credere, la stragrande maggioranza di loro sogna una situazione in cui sia possibile ritornare a casa, in sicurezza e con dignità. Un sogno che si è realizzato per pochi nel 2018: solo in 593.800 sono potuti tornare nei loro luoghi d’origine. Per lo stesso Grandi questa è la soluzione attorno alla quale lavorare, cercando di rimuovere gli ostacoli: i Paesi che hanno peso politico a questo dovrebbero lavorare piuttosto che continuare ad evocare paure. È un’urgenza intercettata anche da nuovi attori che non erano stati messi nel conto, come grandi aziende private che hanno loro basi in Paesi poveri o esposti a conflitti. In tanti casi hanno messo in campo progetti a beneficio delle comunità locali. Non solo per generosità, ma per interessi concreti. A dimostrazione di come il mondo sia molto più interconnesso di quanto crediamo e che i migranti, anche se lontani, e anche se arrivano con il contagocce sulle nostre coste, sono comunque un’emergenza che ci riguarda.

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