Omicidio di Seriate, Tizzani in aula
«Io in giardino, Gianna a terra in casa»

L’ex capostazione, accusato di aver ucciso la moglie, nega in aula e allontana i sospetti. Due ore per rispondere alle domande di pm e difesa.

Due ore, rispondendo alle domande del pm e della difesa, negando e cercando di allontanare i sospetti. Al processo per l’omicidio di Gianna Del Gaudio, l‘ex professoressa uccisa la notte tra il 26 e il 27 agosto 2016 nella sua villetta di Seriate, è stata la giornata di Antonio Tizzani, l’ex capostazione – difeso dall’avvocato Giovanna Agnelli - imputato per l’omicidio volontario della moglie. «Non ho mai messo le mani addosso a mia moglie, al massimo alzavo la voce – ha dichiarato nella mattinata di martedì 27 ottobre –. Non erano liti, le nostre, solo discussioni in cui lei aveva sempre l’ultima parola». Incalzato dal sostituto procuratore Laura Cocucci, l’ex ferroviere ha ammesso di averle dato degli schiaffetti sulla nuca, mai in faccia.

Cravatta rosa a pois su cardigan blu, mascherina chirurgica sempre alzata, Tizzani ha spiegato di non essere geloso né impulsivo. Al pm che gli ha fatto ascoltare una telefonata del figlio in cui definiva la madre vittima, l’imputato ha replicato che «sono io la vittima e lo sono ancora». Vittima, nel senso che ritiene ingiuste le accuse che gli inquirenti hanno mosso nei suoi confronti.

Sui momenti dell’omicidio, l’ex capostazione ha fornito la solita versione: «Ero nel giardino che dà sulla piazza ad annaffiare l’erba, ci sono rimasto una ventina di minuti, poi sono entrato e ho visto un uomo incappucciato che stava rovistando nella borsa di Gianna. “Chi sei?” gli ho urlato. Quello è scappato e io ho cercato di inseguirlo, ma poi ho visto mia moglie a terra e mi sono fermato. “Gianna, che è successo?”, ho esclamato».

Il pm gli ha letto le intercettazioni ambientali captate sulla sua Fiat Bravo, quando Tizzani parlava da solo. «Cosa ho fatto? Ho ammazzato mia moglie in quel modo. Voglio morire». «Ho ucciso un angelo», «Perché Dio? (…) Perché mi hai fatto arrabbiare? Perché me l’hai fatto picchiare? Perché non me l’hai tolta». L’ex ferroviere ha replicato che bisogna mettere dei punti di domanda a quelle frasi. «Mi facevo domande su quello che dicevano di me», come se volesse dire: «Sono stato io, come sostengono loro, gli inquirenti? Impossibile». Prossima udienza il 5 novembre.

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